lunedì 21 febbraio 2011

Proprio come nei libri di quando eri piccino: The Troll Hunter di André Øvredal (Nor/2010)




Tutta la potenza di The Troll Hunter sta nello scarto tra le aspettative e quello che in realtà ci si presenta davanti agli occhi. Siamo in anni in cui ogni riferimento a un fantastico “classico” (o comunque non di estrazione moderna) deve passare attraverso le maglie impietose del restyling. Tutto deve essere più oscuro, aggressivo e peggiore di come ce lo ricordassimo. Si prenda a esempio l’Alice di Tim Burton, stravolto nel suo significato e reso clone di un Narnia qualsiasi. Brutalmente strappato dalla sua essenza di immagnifico trip psicotico. Da parte dello stesso regista colpevole, tra le altre cose, del remake pornografico di Willy Wonka e la Fabbrica di Cioccolato. Ora più che mai lontano dalla sottile sgradevolezza della versione originale (già addolcita rispetto al libro di Dahl, vero maestro dell’horror sottocutaneo). Ma, tanto per essere chiari, lo stesso processo è stato applicato a qualsiasi trasposizione di fiaba messa in cantiere negli ultimi 10 anni. Lo aveva capito bene Miike, che nel suo The Great Yokai War tratteggiava con la solita abilità una metaforica guerra tra immaginario retro e volgarità moderne. I suoi Yokai, baluardi del vecchio, erano proprio quelli che ci eravamo abituati a vedere negli anime per bambini. I vari Kasa-obake e Rokurokubi compaiono nella pellicola di Miike dipinti nell’assurdità tipica dei racconti per l’infanzia.



La medesima cosa succede nell'opera di André Øvredal. A fronte di un impianto che fa del realismo la sua bandiera (il solito mockumentary ritrovato, con tanto di spiegazioni pseudoscientifiche sul perché i mostri non possano stare alla luce del sole e discussioni sulla possibilità di fiutare un mussulmano piuttosto che un cattolico) abbiamo un creature design che pare essere strappato pari pari da un libro sul folklore nordico. Quando il primo troll compare sullo schermo è talmente come ce lo aspettavamo da lasciarci senza fiato: goffo, sgraziato, con un nasone enorme. E così via, migliorando di volta in volta, fino all’avvistamento dell’incredibile Gigante.



The Troll Hunter è pura fascinazione puerile (nell’accezione più positiva possibile) travestita da survival horror. Una metafora su come le fantasie più sfrenate non abbiano bisogno di essere aggiornate o agghindate per i tempi moderni. Per tornare a Burton: confrontate come il suo Jabberwocky e relative mirabolanti riprese in 3D appaiano misere in confronto a un colosso di 100 m a spasso per le lande norvegesi. The Troll Hunter parte da Cloverfield e lo sorpassa spingendo sull’acceleratore del perturbante. Penso che chiunque si sia fatto leggere almeno un libro di fiabe in cui compariva un’ illustrazione di un troll peloso e nasuto. Lo spettatore sa benissimo come apparirà il mostro ancora prima di vederlo, come se un angolino della nostra memoria si fosse liberato da tutta la polvere generata da rebooth e riletture varie.



Si torna bambini esattamente nella misura in cui lo si faceva leggendo l’All Star Superman di Morrison e Quitely. Non l’ennesima testata super eroistica fatta di moralità dubbia e ultraviolenza, dove i buoni sono più cattivi dei cattivi (zzz). Piuttosto la precisa trasposizione di come tutti noi ci aspettavamo una storia di super eroi prima di poterne effettivamente leggerne una. Avventure incredibili, poteri capaci di tutto, mondi lontani e incontri di ogni tipo. Il successo della testata di casa DC (come di The Troll Hunter) parte proprio da questo: la sovversione dell’immaginario ormai è maniera. Si deve ripartire da tutto quello che conosciamo già e dimostrare quanto abbia ancora da dire.




4 commenti:

Officina Infernale ha detto...

come anche il tom strong di alan moore...

Unknown ha detto...

Son forti 'sti norvegesi.
Anche se la telecamerina ha un po' rotto il cazzo effettivamente. O per lo meno io non la sopporto più.

Uscirà mai in italia? mi sa di no eh?!

MA! ha detto...

@ Officina: in più in Tom Strong adoravo come il protagonista ragionasse come si faceva negli anni '40/'50. Tipo quando la figlia gli porta a casa il fidanzato di un'altra razza e a lui non passa giù.

@ Andrea: speriamo che esca almeno in dvd. La telecamerina ha rotto i coglioni pure a me. Però almeno qui aveva un senso (immaginario fantastico vs realismo digitale).

Doner ha detto...

discorso interessantissimo il tuo, come sempre.

una domanda: the great yokai war fa cagare salamadre marce solo a me???