Praticamente un remake di Io vi troverò. Anche qui abbiamo un ex agente speciale ritiratosi a vita privata, una figlia rapita e un bel po’ di razzismo. Tutto però rivisto in chiave coreana.
Tanto per cominciare la lancetta del melodramma raggiunge picchi che Morel neanche concepisce. La bambina sequestrata non è infatti l’ erede biologica del protagonista ma un palliativo a quella vera. Persa assieme alla moglie in un brutale attentato. Il rude Cha Tae-sik si rende conto di quanto la sua pestifera vicina di casa sia importante solo nel momento in cui questa viene rapita. Sarà il punto di avvio del tipico meccanismo per cui il taciturno uomo venuto dal nulla decide di mostrare poco a poco le sue carte. From zero to hero in bel mucchio di morti.
Si parte con qualche giochetto di mano lesta (il pugnale strappato di mano ai rapitori, in una scena da 10 e lode) e si conclude con l’andamento di una macchina da guerra fuori controllo. Una sceneggiatura non propriamente blindata garantisce un ritmo vertiginoso, dato anche dalla solita regia coreana. Patinata, ricercatissima, tecnicamente ineccepibile. Sorprende come quello che in altre cinematografie sia visto come un pregio quando ci si avvicina a Seul diventi, per i detrattori, una nota dolente.
L’ultraviolenza di un' opera come questo The Man from Nowhere raggiunge picchi di lirismo impressionanti proprio grazie all’eleganza e alla perizia con cui viene catturata su pellicola. Anche la scelta di immortale le frequenti coreografie (secche, veloci e antispettacolari) con costanti piani ravvicinati raggiunge risultati antitetici a quello che ci si aspetterebbe. L’azione è costantemente decifrabile, mai convulsa e sempre votata a una ricerca estetica non indifferente.
La trama gioca sporco, con i cinesi trafficanti di organi, sevizie su minorenni assortite e un bel po’ di altri pugni allo stomaco. Nell’economia della storia tutto serve a creare empatia con il protagonista, fabbrica di morte inguainata in un eccepibile completo nero (anche questo un aspetto molto coreano). A conti fatti siamo dalle parti di un blockbuster studiato in laboratorio, concepito per prendere allo stomaco e non lasciare nessuno indifferente. La fattura perfetta mette il cuore in pace anche al cinefilo più antipatico, comunque soddisfatto nel gustarsi una prova di regia sopra la media.
Piccola nota dedicata ai coreanofili più indefessi: anche qui la polizia fa una figura che dire barbina è dire poco.
3 commenti:
Le differenze fra gli action occidentali di questo tipo, e quelli orientali sono profondamente differenti a mio avviso. Anche quando si parla di un remake.
In genere in occidente si cerca il realismo nelle scene d'azione. Per quanto improbabili, in un film come Io Vi Troverò ci piace pensare che se fai incazzare l'uomo sbagliato (addestrato e super esperto) questo si vendicherà senza fermarsi.
-> SINDROME DA BOURNE TRILOGY.
lo spettatore si vuole sentire vicino al protagonista, tifare per lui e credere che tutto possa essere reale.
In Oriente, l'azione va di pari passo con l'estetica. La bellezza delle scene, della coreografia e dei movimenti è più importante dell'aderenza alla realtà.
Tutto ciò si mischia perfettamente con il lirismo e il melodramma della vicenda (giustamente gonfiato rispetto all'originale).
In certi sensi lo spettatore occidentale vuole gasarsi e sentire il suo ego da maschio dominante appagato. In oriente mi sembra che ci sia tutto ciò ma con più stile, bellezza e sofferenza.
Non era facile spiegarmi. Spero di essere stato chiaro.
senza la violenza il cinema non ha senso
@Watanabe: vero. Per quello che trovo gasante un film come The Horseman (quello australiano): sporco, cattivo e senza compromessi. Altro che melodramma. Però bisogna spingere sull'acceleratore. Se una cosa deve prendere il basso ventre allora che colpisca basso e non abbia rimosi di coscienza. Altrimenti meglio il modello estetizzante orientale. Che è comunque una gioia per occhi e cervello (vedi il cinema della vendetta di Park Chan Wook).
@Greg: non sempre. Però aiuta.
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