lunedì 14 giugno 2010

La violenza nello sguardo: Rampage di Uwe Boll (2009/Can)




Rampage sarebbe dovuto essere una sorta di Elephant in chiave hardcore. Invece è finito per essere Un Giorno di Ordinaria Follia (di cui riprende alla lettera alcune scene) rivisto in ottica tardo adolescenziale. La storia di un ventenne che si costruisce una tuta in kevlar e decide di mettere a ferro e fuoco il centro abitato dove vive con i genitori. La vera trasposizione su celluloide di Postal, quella che andava dritta al succo del discorso. Usare gatti come silenziatori e sparare a megascroti idoli dei bambini era solo un bel pacchetto per distrarre dal vero nucleo del gioco. Un po’ come il linguaggio scurrile e le gag scatologiche in South Park. Una volta scartati gli specchietti per allodole (perfetti per attrarre le ire di quei ritardati del Moige, così hanno qualcosa contro cui sbraitare) rimane la vera cattiveria, quella che ti fa dubitare se sia il caso di ridere o meno. In Postal 2 succedevano un bel po’ di cose assurde, ma chissà perché finivi sempre a cospargere di benzina la fila di clienti in banca. In GTA ti piazzavi in cima a un palazzo ed entravi immediatamente in modalità Charles Whitman. Tutti i tester di Modern Warfare 2 si sono sorpresi a massacrare innocenti durante la missione No Russian, nonostante si vestano i panni di un infiltrato CIA (quindi un personaggio positivo) in un gruppo di terroristi ultranazionalisti sovietici. E’ una passione innata per la violenza gratuita e il massacro. Evitando stoppose riflessioni sulla sovrapposizione catarsi/desensibilizzazione rimane il fatto che ne siamo inevitabilmente attratti. Lascio la questione della vita reale a gente come William T. Vollmann, uno che ha scritto le 3300 pagine di Come un’onda che sale e che scende (la versione Mondadori è il riassunto) cercando di chiarire se una madre che uccide il figlioletto per evitargli gli orrori della prigionia di guerra sia definibile come omicida o meno. Concentrandosi sulla questione mediata e finzionale non ci si può nascondere dietro a un dito: Rampage delude perché non abbastanza estremo. Non abbastanza gratuito, folle e insensato. E questo dovrebbe far riflettere.



Il film parte benissimo, tratteggiando un protagonista molto meno scontato di quello che ci si aspetterebbe. Bill vive in una bella casa con due genitori in gamba (apparentemente professionisti affermati, innamorati come adolescenti e in continuo dialogo con il figlio). E’ un gran lavoratore, solo non ha prospettive. Potrebbe avere università e alloggio pagati dalla famiglia, ma continua a procrastinare. Per una volta niente white trash da opuscolo sociologico. Poi, sorvolando sulle voci off che ripetono per 400 volte le stesse cose, arriva il tonfo: il Nostro omicida di massa ha motivazioni e un machiavellico piano per imboccare la via d’uscita. Come spettatore medio di un certo tipo di prodotti mi sono sentito tradito: il film cerca di avere un’anima, errore imperdonabile.



C’è chi dice che la motivazione del successo della nuova pornografia estrema sia la ricerca di emozioni vere. Visto che le attrici sono diventate bravissime a simulare il piacere, cerchiamo almeno di percepire il dolore e il disgusto. Anche solo per una frazione di secondo. Siamo talmente alla canna del gas che non è più l’atto a eccitare, ma la sicurezza di trovarci di fronte a uno spicchio di realtà. Perché tanto ormai è tutta finzione, iperealtà o realtà aumentata. Il mondo lo vediamo solo attraverso gli LCD dei nostri smartphone (prospettiva dotata di tutte le indicazioni che prima potevi avere semplicemente chiedendo a un passante) e le nostre riflessioni sulla vita vera sono stereotipi di stereotipi. Basta aver letto più di due romanzi di formazione per poter capire dove vanno a parare il 99% dei diari online. C’è il tizio che si sente libero perché arriva a 40 anni vivendo ancora come un adolescente, quello che si sente meglio degli altri perché ha una mensola piena di libri e un manoscritto nel cassetto, quello che monta un sorriso cristallizzato e compiaciuto davanti alle cose semplici, invisibili al brutto mondo cattivo dei nostri giorni.



Uwe Boll, all’ennesimo tentativo toppato di girare un bel film, ci ricorda inavvertitamente che esiste anche un punto di vista agli antipodi di questo. Annoiato dalle coreografie dei torture porn alla Hostel ti approcci a Rampage nella speranza di vedere tonnellate di morti finte e inutili. Vuoi l’effetto della camera a mano perché sai che è fiction come simulazione della realtà. Vuoi l’audio in presa diretta e in contemporanea la colonna sonora extradiegetica fatta di percussioni distorte. Vuoi che qualcuno si sia impegnato a fare di tutto per simulare nel modo più realistico possibile l’insensatezza dell’ecatombe. Però privando tutto di senso ed empatia. Non vuoi sapere il perché, non vuoi conoscere le vittime, non vuoi la ripresa che indugia sulla spettacolarità della morte. Gus Van Sant sotto anfetamina, Modern Warfare senza joypad in mano. La semplice e gratuita saturazione dello sguardo per accumulo. La privazione totale di emozioni di fronte al più tragico degli eventi ti da la scossa , senza capirne il perché. Se la sofferenza di un altro essere umano come richiamo alla realtà è deprecabile, l’immersione totale e volontaria nella finzione lo è altrettanto. Come capita sempre nella vita mi sono ritrovato al livello di chi criticavo. E non occorre essere sociopatici da articolo sensazionalistico per provare sulla propria pelle questo bisogno di distacco. Continuando a prendermi come campione assolutamente medio non riconosco in me nessun tipo di segnale allarmante: convivo da anni, sono in attesa di diventare padre, ho lavoro, amici e interessi. Nessuna propensione alle armi da fuoco o simpatia per frange politiche di tipo estremista. Un tizio qualunque.



In questo filmetto scialbo e inutile c’è una scena che farà un male atroce a chiunque si trovi nella mia situazione. Un autentico capolavoro di cattiveria. Dopo aver totalizzato un bodycount da record Bill entra in una sala da Bingo. E’ in tenuta da guerra, brandisce due mitra ancora fumanti. Disturba i giocatori. Nessuno fa nulla, tutti continuano nella loro attività alienante. Dopo poco se ne va senza ammazzare nessuno. La sua battuta di uscita è “Voi non avete neppure bisogno del mio aiuto”. Più che dalle parti della stilettata siamo vicini alla fucilata (metaforica) in pieno volto.

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