Che Banksy sia una personalità immensa ormai lo sanno tutti. Partendo da una street art aggressiva e militante, debitrice tanto di Blek Le Rat quanto del culture jamming di Ron English, il Nostro è arrivato al punto di poter sabotare dall’interno il sistema da lui criticato. Prima con le affissioni di finte opere all’interno del Louvre (concetto sviluppato poi nella performance Banksy vs Bristol Museum, orchestrata con la complicità dello stesso istituto), ora con il suo chiacchieratissimo esordio cinematografico. Negli scorsi mesi non c’è stato un sito/blog/forum dedicato al design (piuttosto che al coolhunting o alla creatività in genere) che non ne abbia parlato, generando un’attesa spasmodica nei confronti di quello che pare si stia svelando come ennesimo giocattolino dell’artista. Perché, a poca distanza delle varie premiere in giro per il mondo, Exit Through The Gift Shop comincia a sollevare più di qualche dubbio.
Il documentario parla dell’ascesa al successo di Mr. Brainwash, all’anagrafe Thierry Guetta, losangelino originario della Francia. Il soggetto in questione è passato in pochi anni dal filmare in maniera compulsiva i suoi artisti preferiti (Shepard Fairey, Space Invaders, lo stesso Banksy) a vendere le sue tele per 300.000 dollari l’una. Senza dimenticare mostre sold out a Los Angeles, cover artwork per Madonna (l’ultimo Celebration) e un megashow al Meatpacking District di New York. Per far capire il gigantismo della manifestazione basti sapere che si estendeva su 14.000 metri quadrati e che ai primi 300 visitatori era regalato uno schizzo originale. Sarebbe tutto meraviglioso, se non fosse che… Mr. Brainwash produce spazzatura. Banale da far schifo, tecnicamente incapace, stupido e vuoto. Perfetto per finire in un film che già dal titolo non si pone proprio come compiacente all’attuale sistema del mercato dell’arte. Un labirinto di specchi che non stupirebbe se ci rivelasse la notizia di un Banksy interprete (perché di Mr.Brainwash si conosce benissimo il volto, ma nulla sulla vita pre-L.A.) e non regista.
Una burla ben organizzata? Quasi sicuramente. Geniale? Un po’ meno. Perché i bolognesi 0100101110101101.ORG c’erano arrivati prima. Introduciamo un minimo la coppia di terroristi mediatici dietro al codice binario: balzano alle cronache per aver clonato e sostituito il sito del Vaticano. Passerà un anno prima che qualcuno si accorga che i testi sono stati modificati o sostituiti integralmente. Convincono poi il mondo che nei cinema stia per uscire il blockbuster eurocentrico United We Stand, composto unicamente da comunicati stampa, trailer e affissioni. Tramite installazioni pubbliche e una finta campagna pubblicitaria sollevano la città di Vienna contro la Nike. Bastò convincere la cittadinanza che la piazza Karlsplatz, acquistata dalla multinazionale, avrebbe cambiato il nome in Nikesplatz e avrebbe ospitato uno swoosh di dimensioni oltraggiose. Rilasciano un software attraverso cui chiunque può entrare nei loro pc personali, con la libertà di leggere mail e scartellare tra i file. Introducono il nome collettivo di Luther Blisset e diffondono il verbo dell’artista maledetto Darko Maver. Un simpatico sloveno uso a esprimersi attraverso la documentazione della vera morte, noto per aver disseminato nelle case abbandonate della ex Jugoslavia raccapriccianti manichini sfigurati dalla guerra e per i suoi feti indossabili.
Il pupillo dei due net.artists viene arrestato nel 1997 per crimini legati alla sua poetica, raccoglie subito il plauso e la solidarietà di tutti i salotti buoni. Manifestazioni, tributi, articoli. Tutto per qualcuno mai esistito. Una truffa studiata nei minimi dettagli, dove si era arrivati perfino a pubblicare finti testi di critica sul performer (compilati dalle stesse menti dietro l’intero progetto). Una grassa risata in faccia alla superficialità, alla faciloneria e al qualunquismo che genera un turbine di milioni di euro tramite il mercato dell’arte.
A conti fatti sono passati solo 13 anni da quella storica performance, eppure pare che nessuno abbia imparato nulla. Tranne Banksy, naturalmente.
Il documentario parla dell’ascesa al successo di Mr. Brainwash, all’anagrafe Thierry Guetta, losangelino originario della Francia. Il soggetto in questione è passato in pochi anni dal filmare in maniera compulsiva i suoi artisti preferiti (Shepard Fairey, Space Invaders, lo stesso Banksy) a vendere le sue tele per 300.000 dollari l’una. Senza dimenticare mostre sold out a Los Angeles, cover artwork per Madonna (l’ultimo Celebration) e un megashow al Meatpacking District di New York. Per far capire il gigantismo della manifestazione basti sapere che si estendeva su 14.000 metri quadrati e che ai primi 300 visitatori era regalato uno schizzo originale. Sarebbe tutto meraviglioso, se non fosse che… Mr. Brainwash produce spazzatura. Banale da far schifo, tecnicamente incapace, stupido e vuoto. Perfetto per finire in un film che già dal titolo non si pone proprio come compiacente all’attuale sistema del mercato dell’arte. Un labirinto di specchi che non stupirebbe se ci rivelasse la notizia di un Banksy interprete (perché di Mr.Brainwash si conosce benissimo il volto, ma nulla sulla vita pre-L.A.) e non regista.
Una burla ben organizzata? Quasi sicuramente. Geniale? Un po’ meno. Perché i bolognesi 0100101110101101.ORG c’erano arrivati prima. Introduciamo un minimo la coppia di terroristi mediatici dietro al codice binario: balzano alle cronache per aver clonato e sostituito il sito del Vaticano. Passerà un anno prima che qualcuno si accorga che i testi sono stati modificati o sostituiti integralmente. Convincono poi il mondo che nei cinema stia per uscire il blockbuster eurocentrico United We Stand, composto unicamente da comunicati stampa, trailer e affissioni. Tramite installazioni pubbliche e una finta campagna pubblicitaria sollevano la città di Vienna contro la Nike. Bastò convincere la cittadinanza che la piazza Karlsplatz, acquistata dalla multinazionale, avrebbe cambiato il nome in Nikesplatz e avrebbe ospitato uno swoosh di dimensioni oltraggiose. Rilasciano un software attraverso cui chiunque può entrare nei loro pc personali, con la libertà di leggere mail e scartellare tra i file. Introducono il nome collettivo di Luther Blisset e diffondono il verbo dell’artista maledetto Darko Maver. Un simpatico sloveno uso a esprimersi attraverso la documentazione della vera morte, noto per aver disseminato nelle case abbandonate della ex Jugoslavia raccapriccianti manichini sfigurati dalla guerra e per i suoi feti indossabili.
Il pupillo dei due net.artists viene arrestato nel 1997 per crimini legati alla sua poetica, raccoglie subito il plauso e la solidarietà di tutti i salotti buoni. Manifestazioni, tributi, articoli. Tutto per qualcuno mai esistito. Una truffa studiata nei minimi dettagli, dove si era arrivati perfino a pubblicare finti testi di critica sul performer (compilati dalle stesse menti dietro l’intero progetto). Una grassa risata in faccia alla superficialità, alla faciloneria e al qualunquismo che genera un turbine di milioni di euro tramite il mercato dell’arte.
A conti fatti sono passati solo 13 anni da quella storica performance, eppure pare che nessuno abbia imparato nulla. Tranne Banksy, naturalmente.