venerdì 16 aprile 2010

Il cinema come fusione: Bangkok Adrenaline di Raimund Huber (Tha/2009)

Conoscete Gabriele Roberto? Compositore italiano di caratura imbarazzante (nel senso buono), non riusciva a trovare lavori in patria. Un bel giorno decide di emigrare e adesso si trova a fare la spola tra Giappone e Hong Kong, dove vince premi su premi musicando film che si sposano perfettamente alla sua poesia. Avete visto Merantau? Scritto e diretto dall’inglese Gareth Evans, altro personaggio che probabilmente ha finito per trovare in oriente tutto quello impossibile da rintracciare nel suo paese d'origine (a livello cinematografico). E adesso veniamo a Bangkok Adrenaline. Siete quattro amici: due atleti/coreografi, un regista con velleità da attore comico e un wrestler con la passione per la sceneggiatura. Volete scrivere, dirigere e interpretare il VOSTRO film d’azione. Senza volti noti, senza cessioni al CdA dello studio che produce, totalmente devoto all’old school (senza finire nel nostalgico). Che fate? Prendete un aereo e ve ne andate in Thailandia, tanto nella terra di Tony Jaa quella roba lì va via come il pane. Risultato: 83 minuti di goduria e libertà creativa totale. Coreografie clamorose, trovate spiazzanti, personaggi surreali e siparietti da commedia meno scemi di quello che uno possa pensare. I nostri quattro eroi riescono a mimetizzare da film senza pretese (quale effettivamente è Bangkok Adrenaline) un’opera che è la perfetta fusione tra occidente e oriente, tra generi e linguaggi. Prendetelo come un Born to Fight senza tutte quelle sfumature thai che ci facevano storcere il naso. O come un film prodotto da Luc Besson che sia veramente divertente. O un video di parkour con la trama. O, ancora meglio, fondete tutte queste cose assieme. Senza scene inserite a forza tanto per poterle mettere nel trailer, senza i soliti siparietti slapstick, senza far sguazzare i personaggi nella retorica (in questo caso doppio colpo gobbo: non abbiamo ne il supermacho US ne l’eterno ingenuo tipico delle produzioni orientali). Pare che la truppa conosca benissimo il genere e sappia perfettamente come muoversi nell’ambito. Ogni qualvolta l'atmosfera si fa tosta, la regia di Raimund Huber (che all’interno del film interpreta la spalla simpatica dei tre picchiatori) si fa invisibile e si adatta perfettamente al linguaggio del corpo. Si va dalla camera a mano alle lunghe riprese sulla distanza. La tecnica cambia in base a quello che la performance richiede. Un' intuizione non da poco, indispensabile per riportare il genere alle sue coordinate primigenie (non è un caso che il principale innovatore e ratificatore del cinema marziale, Liu Chia Liang, fosse stato prima di tutto atleta, poi coreografo e solo infine regista). A questo si unisce un senso per lo spettacolo e lo sberleffo indispensabili per rendere Bangkok Adrenaline il film frizzante e disimpegnato qual è. Se la barra della tamarraggine pare avvicinarsi troppo al limite tollerato, la sceneggiatura finisce per prendersi gioco di cliché e luoghi comuni. Nessun riferimento meta testuale (a parte un richiamo a Street Fighter da applausi), semplicemente un’ottima gestione di tempi e meccaniche della commedia. Ingrediente questo mutuato direttamente dall’action comedy di scuola Hong Konghese, ma riletto in chiave occidentale. Che è una cosa ben diversa da prendere Jackie Chan e metterlo in un blockbuster statunitense. Siamo arrivati veramente a un cinema della fusione, in un ambito in cui era riuscito a fare di meglio solo il Maestro Tsui Hark. Guarda caso con il film meno compreso della sua filmografia. E’ colpa di una mentalità retrograda e ottusa se da un autore chiamato ad aprire il Festival del Cinema di Venezia ci si aspettano solo capolavori d’essai. Tsui invece di questa cosa se ne è sempre sbattuto e ha preso l’occasione di una trasferta statunitense per girare Knock Off. Una regia tecnicamente inarrivabile per una sceneggiatura ben oltre il limite dell’idiozia, cortocircuito sublime dove il maestro del cinema orientale incontra il più outsider tra gli action heroes occidentali. Cinema-cinema, dove le immagini in movimento sono motore primo per sorprendere lo spettatore. Naturalmente Bangkok Adrenaline non arriva a queste vette, ma il combattimento con la protagonista nuda (di cui non si vede nulla “grazie” alla regia), quello sul tuk tuk, l’officina gestita da nani,… sono tutte gemme imperdibili. Sospese tra occidente e oriente, con un metodo produttivo che rifugge allo strapotere degli studios e sfrutta a pieno i lati positivi della globalizzazione. Per un film di arti marziali disseminato di gag comiche non mi pare poco.



P.S. Allego il trailer solo per dovere di cronaca. Ma sappiate che è uno dei montaggi più fuorvianti di sempre. Il film è tipo 3000 volte meglio.




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