All’epoca di Calculating Infinity il pubblico si divise: chi intuiva la rivoluzione che sarebbero stati i Dillinger Escape Plan e chi li etichettava come semplici virtuosi dediti al caos più gratuito, in questo caso una miscela urticante di freejazz, grind e postHC. Il tempo, neanche a dirlo, diede ragione ai primi. Dopo cinque anni di tour, cambi di lineup e sperimentazioni continue arrivò Miss Machine. Anche qui il giudizio fu agli antipodi e anche qui lo scorrere delle stagioni andò a rafforzare il partito degli entusiasti. Quelle che all’epoca sembrarono cessioni al pop ebbero bisogno di qualche anno per essere viste sotto la giusta prospettiva, così come l’abbandono di una registrazione chirurgica a favore di suoni impastatati e confusionari. Miss Machine era semplicemente troppo colto, intelligente e avanguardistico per essere capito subito. Anno di grazia 2007: arriva Ire Works. Ai primi ascolti, tanto per cambiare, il disco scontenta. L’uso dell’elettronica si fa massiccio, le intrusioni nel mainstream si fanno quasi preponderanti sul lato estremo e spesso si ha l’impressione che le reali idee si siano esaurite. Passano gli anni e le opinioni cambiano, le canzoni più belle dell’ultimo (all’epoca) lavoro dei Dillinger sono quelle più accessibili e ogni volta che lo si ascolta si scopre qualcosa di nuovo. Semplicemente Ben, Greg e soci hanno imparato a mettere le canzoni davanti al loro ego, così mentre il resto della scena estrema pare capace di giocare solo al rialzo loro stanno già pensando ad altro. Il risultato è un disco di musica elettronica suonato con gli strumenti da rock band, mentre il falsetto di Puciato sbatte in faccia a tutti quanto poco importi al quintetto del New Jersey della scena postcore. Registrazione e concept (che porta a uno degli artwork più strepitosi di sempre) ultramoderno fanno il resto. Oggi esce Option Paralysis. In mezzo sono passati un contratto stracciato con la Sony, il licenziamento del miglior batterista della storia dei DEP (mi spiace per i fanatici, ma Chris Pennie non vale la metà di Gil Sharone), una miriade di collaborazioni, la nascita dell’etichetta personale dei Nostri (la Party Smasher Inc, distribuita dalla Season of Mist per lo spazio di un solo disco). Una serie di esperienze che non hanno portato alla rivoluzione, ma alla maturazione. Quella di Option Paralysis è una band conscia di aver intrapreso una strada troppo personale per essere capita. Abbandonati i toni gelidi del precedente lavoro ci si ricomincia ad avvicinare a una concezione umana di produzione, mentre la melodia da pop band entra definitivamente a far parte dell’alchimia. Linee troppo cristalline per non entrare subito in testa, eppure impossibili da assimilare e metabolizzare. Che si tratti di un break furioso o di una ballad per pianoforte. Tutto alternato alle sezioni più fisiche e “dritte in faccia” che i Nostri abbiano mai messo più disco. E così i blast beat si fanno più comprensibili (anche se mai cosi veloci) e il riffing si riesce perfino a seguire. La contaminazione diventa fusione, eliminando del tutto la concezione di musica a blocchetti che tanto aveva minato il successo di band comunque grandiose come i Candiria. Non c’è più spazio per la schizofrenia pornografica di una 43% Burnt, i Dillinger sono diventati grandi e non hanno più bisogno di provocazioni. A distanza di qualche settimana dall’uscita il disco non ha ancora una dimensione precisa, la carne al fuoco è troppa per essere analizzata in così poco tempo. E’ certo che in Option Paralysys si trovino alcune tra le migliori CANZONI composte e suonate da questi geni, ma è presto per poterle contestualizzare in una produzione a cinque stelle come quella a cui ci siamo abituati da Under a Running Board in avanti. Il tempo darà ragione ai Nostri, capaci quattro volte su quattro di consegnarci un lavoro capace di invecchiare benissimo. Quante altre band conoscete capaci di tanto?
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