Il Magnolia rimane il miglior locale di Milano, mi spiace molto per gli altri. Dopo aver ospitato grupponi del calibro Today is the Day, Melt Banana e Wolves in the Throne Room ieri sera il popolo Lombardo si è potuto deliziare con il noise di Agatha, Morkobot e Zu. Ma andiamo per ordine, rigorosamente di apparizione.
Agatha: le adoro. Dopotutto come si fa a non adorare tre ragazzacce impegnate a sudare su di un noise che puzza di Unsane e Melvins lontano chilometri? Premio come band ignorante della serata (nel senso più positivo del termine), ultimo baluardo rock prima di inoltrarsi in territori del tutto alieni. Le Agatha fanno sul serio e lo dimostrano senza tanti complimenti, sparando in faccia ai presenti un muro di suono fatto di distorsioni senza pietà e riff granitici. E poi avevano pure il miglior merchandising della serata (con buona pace per le stampe fatte a mano dei Morkobot).
Morkobot: un po’ Melvins, un po’ Neurosis, un po’ Battles e pure un poco Tarantula Hawk. Mica male, direi. Era dai tempi dei monumentali Ornaments che non mi trovavo faccia a faccia con un tale trip sonico. Perfetti in tutto, dai suoni agli attacchi, non cedono di un millimetro alle banalità da arty band. Il tempo si liquefa frastornato dalle frequenze del terzetto. Feedback ed effetti provenienti da altri pianeti dilatano parentesi di stasi apparente, dando forma nuova alla più classica calma prima della tempesta. In questo caso un maremoto di ritmiche percussive e tribali, a tratti trituranti. I cocchi degli Ufomammut scendono dal palco tra applausi e urla della folla. Il giusto tributo a una band che vale infinitamente di più di quello che ha raccolto fin’ora.
Zu: e finalmente eccomi al cospetto della band italiana più coccolata all’estero. Il trio jazz/noise inferno che fa sbrodolare gente come Mike Patton o John Zorn. Dopo un pugno di secondi tutto spiega. Gli Zu sono adrenalina pura, un attacco alle coronarie avanzato da un amalgama basso/batteria/sax al limite dell’inaudito. I volumi e il carisma dei tre fanno il resto. Headliner perfetti per la serata, non stonerebbero neppure in compagnia di Brutal Truth o Cephalic Carnage. Si provano le stesse emozioni che si proverebbero vedendo i Discordance Axis suonare in una galleria d’arte. La foga d’esecuzione prevale sull’onanismo da sperimentazione, morbo che colpisce pletore di band del genere vorrei-incidere-per-la-Ipecac-ma-non-ci-riuscirò-mai. All’estero si sono accorti anni prima di noi del valore di questo combo, tanto per cambiare. E il fatto che ieri sera il locale sia stato strapieno non aggiusta un torto durato anni. Deflagranti.
Agatha: le adoro. Dopotutto come si fa a non adorare tre ragazzacce impegnate a sudare su di un noise che puzza di Unsane e Melvins lontano chilometri? Premio come band ignorante della serata (nel senso più positivo del termine), ultimo baluardo rock prima di inoltrarsi in territori del tutto alieni. Le Agatha fanno sul serio e lo dimostrano senza tanti complimenti, sparando in faccia ai presenti un muro di suono fatto di distorsioni senza pietà e riff granitici. E poi avevano pure il miglior merchandising della serata (con buona pace per le stampe fatte a mano dei Morkobot).
Morkobot: un po’ Melvins, un po’ Neurosis, un po’ Battles e pure un poco Tarantula Hawk. Mica male, direi. Era dai tempi dei monumentali Ornaments che non mi trovavo faccia a faccia con un tale trip sonico. Perfetti in tutto, dai suoni agli attacchi, non cedono di un millimetro alle banalità da arty band. Il tempo si liquefa frastornato dalle frequenze del terzetto. Feedback ed effetti provenienti da altri pianeti dilatano parentesi di stasi apparente, dando forma nuova alla più classica calma prima della tempesta. In questo caso un maremoto di ritmiche percussive e tribali, a tratti trituranti. I cocchi degli Ufomammut scendono dal palco tra applausi e urla della folla. Il giusto tributo a una band che vale infinitamente di più di quello che ha raccolto fin’ora.
Zu: e finalmente eccomi al cospetto della band italiana più coccolata all’estero. Il trio jazz/noise inferno che fa sbrodolare gente come Mike Patton o John Zorn. Dopo un pugno di secondi tutto spiega. Gli Zu sono adrenalina pura, un attacco alle coronarie avanzato da un amalgama basso/batteria/sax al limite dell’inaudito. I volumi e il carisma dei tre fanno il resto. Headliner perfetti per la serata, non stonerebbero neppure in compagnia di Brutal Truth o Cephalic Carnage. Si provano le stesse emozioni che si proverebbero vedendo i Discordance Axis suonare in una galleria d’arte. La foga d’esecuzione prevale sull’onanismo da sperimentazione, morbo che colpisce pletore di band del genere vorrei-incidere-per-la-Ipecac-ma-non-ci-riuscirò-mai. All’estero si sono accorti anni prima di noi del valore di questo combo, tanto per cambiare. E il fatto che ieri sera il locale sia stato strapieno non aggiusta un torto durato anni. Deflagranti.
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