Sulle pagine di questo blog non ho mai nascosto il mio amore per Brian K. Vaughan. Un autore di certo carente su molti aspetti - i suoi plot, per esempio, non sono certo un'esplosione di funambolismi d’avanguardia - eppure quasi impareggiabile quando si tratta di dare vita a nuovi personaggi. L’umanità che Brian riesce infondere alle sue creature è materia oscura per gran parte degli sceneggiatori in attività, troppo concentrati a immaginarsi chissà quali labirintici sviluppi narrativi piuttosto che limare parola per parola le linee di dialogo. Evitando con cura spacconate e one liner da straight to video per dare spazio a voci più vere del vero, ognuna dotata di un suo lessico ben specifico. Naturale che per arrivare a un livello di raffinatezza tale ci debba essere alla base una personalità fittizia sfaccettata quasi quanto una reale. Si provi a ripensare alla conclusione di Ex-Machina, a tutti gli errori commessi dai Runaways, alle insicurezze di un personaggio come Yorick Brown. Quelli che abbiamo sotto agli occhi non sembrano affatto personaggi bidimensionali da romanzetto pulp. Se Alan Moore, nel suo noto manuale di scrittura, indica come principio primo della creazione di una bella storia l’invenzione di un mondo tangibile e più dettagliato possibile, lo sceneggiatore di Cleveland potrebbe rispondere che personaggi interessanti garantiscono a loro volta vicende altrettanto appassionanti. E questo è forse il principale motivo per cui, alla notizia di una nuova space-opera firmata dal Nostro, l’hype sia schizzato subito alle stelle.
Parliamoci chiaro: di saghe lunghe e fantasiose ne si trova un sacco, eppure poche rimangono bene impresse nell’immaginario collettivo. Gli effetti speciali si sono fatti sempre più fragorosi, i linguaggi più transmediali, le influenze più disparate e il fruitore sempre più preparato. E invece il carisma dell’eroe, che una volta era alla base di tutto, lo si dimentica in fondo alla lista delle cose importanti (non parliamo poi del cattivone di turno, ormai una specie in via di estinzione). Siamo messi talmente male che se qualche illuminato decide di buttare sul piatto un protagonista degno di tale nome questo diventa immediatamente una colonna fissa del nostro pantheon (le ultime vere icone vengono quasi tutte dalla produzione televisiva, mentre il cinema latita e il videogioco pare ancora in cerca del nuovo Gordon Freeman o Snake). Pensare a una serie regolare di questo genere senza una figura centrale forte e capace di diventarne sineddoche avrebbe rischiato ancora una volta di lasciarci una grande storia senza agganci per la nostra memoria, con conseguente frustrazione nostra e degli autori. Ecco perché Saga era atteso da tutti come una sorta di ritorno a un salutare classicismo riadattato ai nostri giorni (un po’ come era stato All Star Superman).
Versati i consueti 2 dollari e 99 a Comixology (che bello il futuro! Brucia un tantinello, ma cosa ci vuoi fare?) mi appresto alla lettura di questo primo numero di Saga. L’immaginario è una miscela piuttosto curiosa di fantascienza HC e fantasy. Lo stesso Brian aveva definito questa sua nuova opera come il punto d’incontro tra Star Wars e Trono di Spade (diciamo che il ragazzo sa come vendersi). L’alchimia funziona, anche se qualche trovata pare davvero fuori tempo massimo (i tizi con il televisore a tubo catodico al posto della testa). Tanto per confermare quello che già pensavo di questo scrittore tutto il lungo primo numero è dedicato a introdurre i due neogenitori Alana e Marko. Resi alla grande dalla disegnatrice Fiona Staples (che si occupa anche di colori e copertine) questi due alieni dimostrano già un caratterino piuttosto spigoloso fin dalle prime battute. Paterno e protettivo (ed ex prigioniero di guerra) lui, grintosa e orgogliosa (ed ex guardia trasferita) lei. Spaventati e innamorati entrambi. Sullo sfondo del lieto evento, che occupa tutte le prime pagine, una guerra galattica senza fine. Con grande gioia del sottoscritto i ritmi sono pacati, lontani dalle meccaniche hollywoodiane che impongono eventi apocalittici ogni tot secondi (non vorrai far calare l’attenzione…). Seguendo l’esempio delle migliori serie televisive dello scorso decennio il cast deve avere tempo per esporsi e fare in modo che il pubblico gli si affezioni, garantendone il successo e l’immortalità. Ma questo può avvenire solo se si ha materiale da far emergere puntata dopo puntata. Mettendo due persone vere (anche se dotati di ali e corna) in un contesto di totale fantasia, aprendo così spiragli di luce su una serie di comportamenti ben diversi dal solito buono-più-buono-che-c’è vs cattivo supremo, la strada pare quella buona.
Mai come in questo caso sarebbe inopportuno gettare le basi di un giudizio dopo un primo numero - vista la scarsità di elementi a disposizione nonostante la lunghezza doppia del volume - eppure dopo questo sold-out istantaneo ci voglio credere ancora di più nella serie epocale. A una carica visionaria non sempre all’altezza corrisponde, come già detto, un iniezione di realismo decisamente gradevole nelle meccaniche tra i due protagonisti. Non ci resta che metterci comodi e prepararci a passare qualche anno in loro compagnia.
3 commenti:
Aspettavo con ansia questa nuova opera di Vaughan, e quoto tutto quello che hai scritto riguardo la costruzione dei personaggi. Puoi quasi sentire il calore dei loro corpi dalla carta quanto sono veri...
Y: The last man mi ha stregato e nel leggere l'ultimo numero mi sono trovato alle 2 di notte con le lacrime che mi rigavano le guance... porca troia, ho 30 anni! Se lo dicessi alla morosa mi prenderebbe per il culo come se non ci fosse un domani. Però è stato uno dei momenti più memorabili nella mia carriera di lettore.
Anch'io ho adorato Y e il suo protagonista, un eroe memorabile per coraggio tragicomico e sfortunata simpatia, ed ero molto curioso per questo Saga. Aspetto che escano un po' di numeri, poi inizio a papparmelo. :)
Mi avete fatto venire voglia di rileggermi Y! Maledetti, con la pila di letture arretrate che incombe su di me non posso permettermi questi lussi.
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