Finalmente un romanzo (pubblicato da noi il mese scorso, uscito in patria nel lontano 2010) che riesce a rendere alla perfezione il concetto di tempo puntiforme. Secondo l’arcinota teoria sociologica (sviluppata, tra gli altri, anche da Bauman) si è passati da una concezione di linea cronologica priva di presente (quando penso al presente è già passato) a una vita che si concentra su un costante azzeramento della memoria. Noi siamo adesso, rimuoviamo il passato perché ci fa comodo e non riusciamo a concentrarci sul futuro per via delle troppe distrazioni (William Gibson, non proprio l’ultimo scemo, aveva riassunto questo concetto con un eloquente: “ Abbiamo smesso di fare grandi progetti, distratti da Facebook, l'iPhone, Twitter e mille puttanate televisive”. Pura religione). Non leggiamo perché dobbiamo “fare” (da reader a user, anche se si tratta solo di aggiornare il profilo FB), non produciamo perché aggreghiamo (che è più veloce) e lo spazio dedicato alla riflessione ci sembra tempo sprecato. Da questa prospettiva Douglas Coupland costruisce un romanzo di quasi 300 pagine dove non succede nulla. Solo cinque persone rinchiuse in un non-luogo (il bar di un aeroporto). A raccontarsi l’un l’altro mentre fuori infuria l’apocalisse, rappresentata in questo caso da un rialzo estremo del prezzo del petrolio (Mio Dio! Il mondo torna a essere un posto enorme, non il paesotto in cui noi post-Generazione X siamo cresciuti). E, tanto per rincarare la dose, prima di ogni nuovo capitolo un misterioso PlayerOne ci riassume quello che succederà tra qualche pagina. Così anche ORA sappiamo quello che succederà DOPO, evitandoci emozioni non previste. Aggiungiamoci un paio di personaggi inseriti praticamente a caso, sviluppo narrativo relegato nell’ultima mezza pagina del volume e una sinistra somiglianza tra i protagonisti (tutti alla ricerca di un’identità più definita rispetto alla loro mise da limbo sociale).
Detto così pare di trovarsi di fronte a un disastro. E invece tutto funziona alla grande. Vuoi per la scrittura asciutta e brillante di Coupland (i dialoghi sapranno anche di artefatto, ma ce ne sono un paio da incorniciare), vuoi per la tensione generata dalla mancanza di spiegazioni. Oppure, più sinistramente, per l’impressionante mimesi con la vita media di ognuno di noi. L’egocentrismo smisurato della nostra epoca (come siamo arrivati a concepire mezzi per fare sapere agli altri cosa stiamo facendo/pensando in ogni momento della nostra giornata? E perché pensiamo che agli altri interessi veramente?) ci fa credere di essere costantemente proiettati verso chissà quali futuri radiosi (sempre individuali, mai collettivi). Peccato che poi la stra-grande maggioranza di noi rimanga delusa, e si ritrovi a resettare la sua esistenza in continuazione (“Ora basta. Da domani cambio vita!”). Con esiti sempre più disastrosi. Vedi alla voce “ritrovarsi nel bel mezzo della fine del mondo”.
Va detto che a un’esecuzione così acuta e chirurgica non corrisponde un finale all’altezza. Un po’ troppo didascalico nel ricordarci, come un bravo e amorevole papà, che abbiamo bisogno di un grosso strappo per rimetterci in carreggiata. Si tratta comunque di un’inezia, visto che si tratta delle ultime due pagine del romanzo (svalutare tutta l’arguzia del lavoro per così poco sarebbe un po’ come ritenere certi film belli solo in virtù del twist-ending…). Quello che conta veramente è come l’idea di presente eterno venga resa con un linguaggio da sit-com. Indorando la pillola e facendoci quasi credere che questa normalità aumentata va benissimo. Se riesco a scrivere un romanzo di 300 pagine, privo di un reale plot, e a renderlo godibile e divertente (come effettivamente è) allora non far succedere nulla neanche nella vita reale non è così male. Questa è la vera intuizione geniale dell’autore: mettere su carta l’ovattato nido di bambagia in cui ci siamo (non ci hanno, ci siamo) adagiati. Bastava questo, senza pacche sulle spalle da uno che è messo male tanto quanto noi.
4 commenti:
post fantastico! :D
mi leggerò il libro, vedrò di comprarmelo o di prenderlo in qualche biblioteca mi hai super incuriosito :)
ma quante volte penso e dico che la stragrande maggioranza di chi scrive, dopo aver letto un tuo qualsiasi post, dovrebbe tornare a squola!
( e prima che qualche pirla lo scriva-si ho scritto con la q apposta)
Come sempre, sei un grande.
Bella la citazione decrescenziana.
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