giovedì 19 gennaio 2012

[Nice try, Johnnie!] Punished - prodotto da Johnnie To (HK/2011)




Bel tentativo Johnnie, ma forse era meglio se lo dirigevi tu. Partendo da uno spunto già sentito mille volte (a un padre viene rapita, con conseguente e logica incazzatura, la figlia) l’idea era quella di andare a sviluppare un’analisi della figura paterna a tutto tondo, a discapito della componente investigativa/d’azione solitamente privilegiata in questo filone cinematografico.  


Le intenzioni sono chiare. Qualsiasi personaggio gravitante attorno al protagonista in realtà viene trattato (e si comporta) quasi come un figlio di quest'ultimo. Dai veri eredi ai dipendenti. Questo è il pretesto per sviluppare un sacco di sottotrame (il sottoposto che non vuole deludere il capo, l’assistente praticamente adottato incapace di rapportarsi con la sua vera famiglia, il figlio del secondo matrimonio avviato a una carriera che detesta,…) tutte lasciate inevitabilmente a metà. Per essere onesti anche la trama principale è risolta in maniera piuttosto rapida. L’unico punto su cui il regista riesce a soffermarsi è la soffocante figura interpreta da Anthony Wong. Un uomo autoritario, fermo, iroso e risoluto. Un maniaco del controllo incapace di lasciar correre anche la minima sciocchezza (si veda la scena a tavola – e sappiamo quanto Johnnie ci tenga alle scene a tavola - in cui richiama il figlio per il modo scorretto in cui mangia i crostacei).


Eppure anche un uomo così si può trovare di fronte a momenti insostenibili. Il rapimento della primogenita è la causa scatenante di una catena di violenze (portate avanti dall’assistente-delfino) che però si esauriranno davanti al pianto disperato di un innocente. La scena in questione (che verrà sicuramente vista dai più – sbagliando grossolanamente -  come uno scivolone buonista del buon Giovannino) rappresenta il punto più alto di tutto Punished, andando a miscelare come si deve tensione, secco melodramma e il tema del karma. Colonna portante di tutta l’opera di To.


Come si è capito l’idea era stuzzicante. Lasciare da parte un attimo il testosterone per lavorare sui rapporti e sulle debolezze di una figura tradizionalmente forte come il padre. Tutto genuinamente inserito in un contesto di genere (se invece volete un capolavoro d’autore recuperate After This Our Exile di sua Maestà Patrick Tam). Peccato che il tutto scorra fin troppo bene, lasciando veramente poco. Certo, la qualità è senza dubbio alta. La solita squadretta di sceneggiatori capitanata da Wai Ka Fai garantisce una scrittura talmente solida e brillante che la scansione temporale a blocchi sfasati quasi non si percepisce neanche, svolgendosi con una fluidità che molta gente non riesce a garantire neppure nei testi più lineari. Anthony Wong è quasi noioso nel suo essere sempre e comunque enorme, anche se tutti lo preferiamo nei panni del killer scolpito nella roccia. Ci sono un paio di scene fantastiche e una giusta dose di cattiveria. Tutti risultati garantiti senza problemi dal livello professionale fuori scala raggiunto dalla Milkyway Image (che produce capolavori come Exiled con poco più di 5.000.000 di dollari US, basandosi sempre sulle stesse troupe e cast). Quindi nulla di eclatante.


Così ci ritroviamo con solo un buon film. Senza quei geniali colpi di pancia che hanno reso gran parte della produzione di questo Maestro qualcosa di indimenticabile. Se la precedente produzione (Accident di Soi Cheang) era perfetta ma gelida (perché richiedeva di essere così per esigenze di sceneggiatura), qui almeno ritroviamo quell’amore per i personaggi che spingeva il cantonese a riempire le sue pellicole di piccole manie e frasi smangiate. Peccato che al timone non ci sia lui, ma uno dei suoi galoppini (e non parliamo del discepolo-fantasma Patrick Yau). Materiale per l’ennesimo capolavoro ce n’era, ma bisogna essere anche capaci di manipolarlo.

5 commenti:

Slum King ha detto...

Sai cos'è?
Che ad essere abituati troppo bene con le primizie pure le cose buone diventano mediocri.
Comunque vedere un film così e pensare ad Hollywood, ti mostra lo specchio di tutta la situazione mondiale.

MA! ha detto...

Verissimo il discorso primizie. La parte su Hollywood non l'ho capita. Nel senso che in US con cinque milioni non accendono neppure la macchina da presa?

Slum King ha detto...

Esatto. E più continuano a tagliare budget e più non riescono a fare film come quelli di una volta. Un circolo vizioso.
Mentre di là hanno fatto di necessità virtù e hanno creato una macchina produttiva in grado di fagocitare i prodotti occidentali.
E questa cosa è un po' quello che succede al mercato globale ed è il motivo perché Cina, India, HK diventeranno i padroni del mercato.
Non so, ci vedo una prefigurazione.
Troppo apocalittico?

:A: ha detto...

Esatto. A Hollywood un film "medio" costa 100 milioni di dollari. Appena si scende sotto quella cifra, ci sono problemi di vario tipo. L'idea di lavorare su più produzioni low budget, invece di scommettere su 10 blockbuster costosissimi, a Hollywood non l'hanno ancora capita.
Concordo con Slum King, quindi.

Sul film, aspetto di vederlo, Marco, sai che sono di bocca molto più buona della tua... :-DDD

MA! ha detto...

E' verissimo. Più film a meno budget. Per la legge dei grandi numeri qualcosa di figo ne uscirebbe di sicuro. Senza contare che con meno soldi investiti si può rischiare di più (tipo in Italia negli anni '70, dove i low-budget più terribili dovevano rientrare nei costi in un week-end. Poi venivano sequestrati dalla polizia - per eccessi di violenza, sesso,...- e i produttori non si dovevano neppure scomodare a lottare per riaverli indietro. Tanto ormai il guadagno era stato fatto).