1970. Sui vagoni della metropolitana di New York compaiono le prime tag. Siamo agli albori di una rivoluzione che porterà alla sovversione della piramide culturale. Partendo da quei segni nervosi e istintivi la strada arriverà alla vetta, andando a influenzare tutto quello che ci sta sotto (e che una volta invece stava sopra). E, naturalmente, lo fa nella maniera più aggressiva possibile. Gli adolescenti dei quartieri poveri vogliono conquistare la città. La vogliono marchiare con il loro nome. Non potendo essere ovunque contemporaneamente si affidano al mezzo di trasporto per eccellenza. I treni diventano un libro aperto in costante movimento, il più grosso e pesante mezzo di comunicazione di sempre. Basta una tag fatta di getto nel Bronx per vederla qualche ora dopo circolare a Manhattan. E così via per mesi, fino alla pulitura delle carrozze. Con un colpo di genio, destinato a cambiare la storia (si studi la teoria del bubble up di Ted Polhemus), dei 15enni relegati ai margini si riprendono quello che gli era stato tolto a forza. Sono ovunque, la Grande Città ora è loro.
Siamo nel 2011. Con la mostra e l’omonimo volume Wish You Where Here pare che l’illustratore Eric Elms voglia applicare la stessa tecnica di appropriazione. Elevandola però a uno status puramente concettuale. L’artista riprende un classico del grafittismo come il nasuto Killroy Was Here (introdotto in questa pratica addirittura dai soldati statunitensi durante la Seconda Guerra Mondiale) e applicandolo a più di 200 loghi (commerciali e no) di ampia diffusione. Ridisegnati a pennarello e sparpagliati ai quattro angoli del globo grazie alla diligente opera della microcasa editrice dell’autore stesso (pratica che gli ha permesso di arrivare perfino ad allestire una personale in Giappone). La volontà di sabotaggio è palese. Molti dei marchi presenti nel volume sono coperti da leggi austere e apparentemente invalicabili. Sono in pochi ad avere il coraggio di sfidare la terribile R cerchiata sul suo stesso campo di battaglia. Paure e convinzioni nate dopo anni di lavaggi del cervello, con l’intento di convincerci che un simbolo su un monitor possa avere chissà quale potere (lavoriamo 8/9/10 ore al giorno per dei numeri su di un display). Con che esercito dovremo presentarci per poterla fronteggiare ad armi pari?
A Eric Elms bastano una scatola di pennarelli e una fotocopiatrice. Prende un marchio intoccabile, ci piazza la sua personale versione di Killroy e se ne impossessa per sempre. Il gigante di leggi e burocrazia ha gambe d’argilla pronte a franare alla prima scossa. Nel volumetto (stampato in 1000 copie su carta da quotidiano) troviamo KFC, Mercedes, Paramount, Guess, Ferrari,… ma anche i Dead Kennedys e i Crass, Obama e Che Guevara, indicazioni stradali e simboli generici.
Eric Elms fa tutto suo, con una semplicità che ha dello spiazzante. Wish You Where Here potrebbe apparire stupido come solo le uova di Colombo riescono a sembrare. Eppure, proprio come il celebre precedente, ci fa capire come spesso il nostro problema più grosso sia la mancanza di uno sguardo lucido. Libero dalle mille sovrastrutture che ne indirizzano in maniera viziata la traiettoria. Ci voleva Killroy per ricordarcelo.
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