Di Banks Violette ci ricordiamo tutti benissimo l'arcinota serie basata sul black metal. L'ossessione adolescenziale per l'oscurità diventava strumento per analizzare la morte e il suicidio in un contesto spettacolarizzato e cannibalizzato dalla massa populista. Più avanti sarebbero arrivate le esibizioni con performance live dei Sunn O))) (e Attila Csihar), destinate a rimanere negli annali come la più moderna rappresentazione possibile delle litanie funebri di memoria ancestrale.
Presso la sua nuova personale in quel di L.A. l'artista americano cambia soggetto ma non il tema. Le corse Nascar come spettacolo necrofilo per bifolchi. L'attesa e la glorificazione dell'incidente mortale come unica attrattiva di uno sport altrimenti privo di senso. Anche in questo caso il culto della morte è al centro di uncirco mediatico privo di remore. Banks riesce a prendere tutta la volgarità della nostra epoca e a trasformarla in neri monumenti ai caduti di una pornografia del dolore (che poi sarebbe la pornografia in toto, visto che un corpo umano per acquistare tangibilità aldilà dello schermo deve soffrire. Devo ricordarmi di chi fosse questa teoria, mi pare Bauman). Immagino che Cronenberg e Ballard siano andati in sollucchero.
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