mercoledì 17 febbraio 2010

Di adolescenti, nani e rospi parlanti: Portami Via di Nate Powell





Sollevi Portami Via dallo scaffale e vieni sommerso dai dubbi. Dopotutto, pensi, si tratta di un fumetto sulla malattia mentale e sulla crescita, disegnato con uno stile quasi underground e dalle forti spinte naif. Il pericolo di acquistare un mattone melenso e paternalista, con tanto di piglio auto celebrativo, è altissima. Per nostra fortuna però Nate Powell, autore unico del volume in questione, è un vero duro: suona in un pacco di gruppi punk, si autoproduce, scrive show comici per la televisione locale e lavora da 10 anni con veri matti. Non esattamente l’intellettuale artistoide che potrebbe nascondersi dietro un tomo simile.



La prima cosa che salta all’occhio è l’approccio alla materia: si è complici dei due giovani protagonisti piuttosto che osservatori, come se fosse tutto il resto del mondo ad aver perso contatto con la realtà e non viceversa. Lo scollamento dal nostro piano percettivo (ammettendo che sia quello giusto) viene reso in maniera originale, facendoci conoscere rospi parlanti e nanetti con la passione per il disegno. Elementi surreali che vanno a incastrarsi perfettamente in un mondo fatto di tirocini sfiancanti e serate trasgressive (come possono essere trasgressive le serate di due sedicenni di provincia, soprattutto se viste attraverso le lenti deformanti dell’affetto), ma anche di problemi familiari e morti improvvise. Nessuna cessione alla poesia gratuita quindi, ma una bella fetta di vita vissuta.



Ruth e Perry vengono dipinti come persone libere, complici, felici anche se afflitti da problemi incomprensibili al di fuori del loro minuscolo cosmo. La costruzione tumultuosa e fluida della tavola rende alla perfezione la leggerezza e la potenza liberatoria di una corsa a perdifiato. Un ricorso elevatissimo a splash page mute ci fa capire che Portami Via è un'opera di pancia, come se Powell avesse scarabocchiato distrattamente le sue tavole seguendo l'istinto. Le vignette si frammentano, si accatastano in maniera irregolare, le onomatopee sfondano in maniera buffa le quattro pareti in cui dovrebbero stare confinate. Il lettering frettoloso e confuso ci fa quasi credere di essere entrati in possesso di un diario personale, mentre intere pagine completamente nere sono il mezzo più veloce e immediato per farci dire la nostra (le dovremo pur riempire in qualche modo, no?).



Una lettura dolce dolce e dal forte impatto empatico, dove l’artista è talmente grande da saper scomparire a favore dei protagonisti e della loro storia.

3 commenti:

Valentino Sergi ha detto...

Ero in dubbio sai? Ma m'hai convinto...

Rizzoli Lizard ha detto...

e a 'sto punto ti linko il post su facebook!
grazie...

MA! ha detto...

@Valentino: Ben contento. Vedrai che non te ne penti. E te lo dice uno che il fumetto "d'autore" (ci siamo capiti, vero?) l'ha sempre preso con le pinze!

@RL: Grazie a voi!