Correva l’anno 2003 e a noi asianofili pareva che dalla Corea del Sud arrivasse solo oro spalmato su pellicola cinematografica. Esce Save the Green Planet ed è l’ennesima conferma che da quelle parti i registi (almeno in quel periodo) provengono da un altro pianeta. Un film minuscolo dove riescono a convivere ricerca estetica esasperata, commedia demenziale, torture porn, dramma strappalacrime (tante, tante, tante lacrime), fantascienza sbilenca e una libertà di scrittura che ancora oggi lascia basiti per classe e sfacciataggine. Ora sono passati nove anni e di cose ne sono cambiate parecchie. Il cinema della nazione asiatica sembra sempre di più quello hollywoodiano (mentre tutti i suoi più grandi fautori ci sono emigrati direttamente, con una serie di opere che dovrebbero vedere la luce nel prossimo paio d'anni) e noi ci ritroviamo sempre meno spesso a strapparci i capelli dalla felicità. Poi succede che ti esce un film come questo Invasion of Alien Bikini e tutti incominciano a parlarne con toni entusiastici. E cosa ci si potrà mai aspettare da una sciocchezzuola costata 4300 dollari (e non prodotta alle Filippine, ma in una delle nazioni più ricche del mondo) e venduta con un titolo che puzza fake-exploitation lontano un chilometro? La risposta coreana alle recenti cagate giapponesi a base di mostri di lattice ed esagerazioni puerili? La risposta è un NO grande come una casa. Invasion of Alien Bikini è il remake (non dichiarato) in chiave minimale del capolavoro Save the Green Planet. E anche se spesso e volentieri le somiglianze tra i due sono fin troppo plateali è sempre bello vedere come un film con cinque attori e due location riesca ad arrivare al suo obbiettivo solo grazie al talento di chi ci è coinvolto.
Naturalmente, visto budget e condizioni, il ritmo non è quello ipercinetico e frizzante dell’originale. Eppure una regia accorta e consapevole dei propri limiti si prodiga nel disseminare le parti più statiche – tutto il corteggiamento tra i due protagonisti, per esempio – con trovate tra il demenziale e lo slapstick. Mano a mano che il minutaggio avanza il tono dell’opera cambia sempre più repentinamente, passando dall’essere una sorta di deriva asiatica di Kick-Ass a una commistione tra commedia sexy e horror, fino alla carambola di ribaltoni finali. I colpi allo stomaco non mancano, così come i frangenti di puro lirismo. Si ride, si piange, si rimane basiti. La consueta fotografia ultranitida e squillante del cinema coreano rifugge ogni rischio di poverata, sconfinando perfino nell’estetica digitale di Michael Mann (facciamo quasi, dai).
Invasion of Alien Bikini ha la capacità di stare in equilibrio sulla linea divisoria dei singoli scompartimenti di qualsiasi scala di catalogazione gli si voglia applicare. Perché a una frantumazione di generi e di umori corrisponde anche un’impalpabilità di definizione come categoria merceologica. Detto in due parole: a chi può piacere questo film?
Se si prende come base di partenza la protagonista femminile direi – per esperienza diretta - la totalità del pubblico maschile eterosessuale. Se invece si prende in considerazione anche tutto il resto non saprei proprio. L’opera prima di Young-doo Oh è fatta per chi ama il cinema leggero come per chi apprezza gli esperimenti più arditi. Chi cerca la sfumatura pop e chi un piano di lettura più complicato. Chi ama le botte e chi le invenzioni di scrittura. Unica caratteristica comune: la voglia di accendere il cervello e di godersi, una volta tanto, qualcosa di stimolante. Senza nessun tipo di cessione al populismo o alla ruffianeria.
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