lunedì 4 giugno 2012

Vivo quanto un vitello decapitato



Solo per rassicurarvi, su pressione di un paio di amici, che sono ancora vivo e con la voglia di tornare a scrivere su queste pagine. Il periodo bello pieno, in collaborazione con la mia acutissima capacità di perdere tempo, mi sta tenendo un po’ lontano da tutto quello in cui solitamente sperpero le mie giornate (leggasi come: fumetti, cinema e altri ammennicoli vari). La bella notizia è che un paio di lavori sono ormai in chiusura. Prevedo quindi di rivedere la luce entro breve. In qualunque caso in questi giorni mi sono ritagliato il tempo per fare una capatina a Londra prima che le Olimpiadi la rendano la città più cara dell’universo (la stessa camera dove io e mia moglie eravamo alloggiati aumenterà, e non si sta scherzando, del 350%). Obbiettivo della sortita in Terra d’Albione: la megamostra su Hirst alla Tate Modern. Hirst? Quello dello squalo? Ma è un cialtrone… bla bla bla… solo marketing… bla bla bla… non è capace di fare niente… bla bla bla… arte populista e volgare… bla bla bla…


Bene. Ammesso e non concesso che tutte le banalità sciorinate qui sopra siano vere, non importa. Perché è impossibile farsi un’idea precisa della poetica di questo artista senza aver visto questa esposizione. Sensazione provata sulla mia pelle. Nonostante lo segua da anni solo immergendomi dal vivo, e in maniera massiccia, nel suo lavoro sono riuscito ad apprezzarlo appieno. E questo vale perfino per i suoi quadri con i pallini colorati, che ho sempre trovato gratuiti. Sbagliandomi alla grossissima. Ogni cosa ha il suo perché e alla fine tutto il percorso artistico del Nostro appare come un'unica, colossale installazione.


Passeggiando tra i corridoio della ex-centrale elettrica, inondati di una luce bianchissima e allestiti seguendo i dettami di un glaciale stile minimale, non occorre essere espertoni d’arte contemporanea per percepire come l’artista tratteggia la sinistra bellezza della morte, l’incertezza della vita e il nostro attaccamento alle religioni (nuove e vecchie). La testa di vitello in putrefazione rimane di una bellezza e di una vitalità agghiaccianti, così come si rimane pietrificati di fronte al sole nero realizzato con milioni di mosche morte. La farmacia è la nuova cattedrale dove riporre la nostra fede e le vetrinette con i medicinali le sue cappelle votive. Il regno dei cieli è carico di una grazia senza fine, ma gli si può accedere solo attraverso la morte (e ce lo ricorda anche Anatomy on an Angel). E nulla ci fa capire la nostra vacuità come il camminare attraverso una mucca sezionata, eppure ancora serena nella sua sospensione in formaldeide.


Non mi sembrano concetti immediati, eppure Hirst li trasmette con una semplicità estrema. E dal vivo la potenza di fuoco del suo linguaggio è tale che è impossibile sfuggirgli. Altro che ermetismo concettuale, solo chi non vuole capire (in nome, questo sì, di un populismo fatto di finta concretezza e attaccamento a delle presunte viscere dal vago sentore di ottusità) continua a definirlo tale.  Ma allora si parla di faciloneria? Di banalità? Mettiamola così… un sacco delle opere esposte hanno ormai più di vent’anni, eppure sono ancora allineate con le tendenze estetiche più moderne e all’avanguardia. Nel senso che un sacco di gente che crea cose OGGI realizza in realtà un qualcosa che appare più vecchio di robette che Hirst ha esposto nei primi anni ’90. Questo la dice lunga sulla profondità della sua ricerca, no?

Che dopo il buon Damien sia un demonio fuori controllo, capace di allestire dopo tutta questa grazia uno dei negozi di souvenir più atroci (e follemente costosi) che ci si possa ricordare, è fuori da ogni discussione. Basti pensare che l’ultima sala della mostra è dedicata a The Kingdom, gargantuesca opera kitsch (in realtà performance) in cui tutte le sue opere più celebrate sono riprodotte in oro massiccio e tempestante di diamanti. Hirst: egomaniaco o critico consapevole del suo ruolo nel mercato dell’arte?   


Detto questo sappiate che mi sono visto anche un paio di nuovi pezzi di Banksy (gigione più che mai), Roa e Dface (entrambi sempre grandiosi). Così, tanto per gradire.


Mi pare sia tutto. Tanto per riequilibrare la dose di infantilismo & ignoranza che da sempre ringalluzzisce queste pagine vi raccomando di non perdervi la conferenza Nintendo in agenda per oggi alle 18:00 (che da irriducibile - e orgoglioso - fanboy aspetto con le palpitazioni da mesi) e vi lascio con un video che mi mette sempre di buonumore. Forse perché c'è Dave Wittie che fa il simpatico, thrash metal, gente che va in skate e borchie usate per cucinare.




6 commenti:

:A: ha detto...

Grazieee! :-D

Officina Infernale ha detto...

Whellcome back!
Hirst spacca...il suo busto anatomico alto 3 metri è uno dei miei favoriti sempre che sia suo...

Slum King ha detto...

La cosa più brutta di Hirst è la sua voracità per i soldi e il lusso, ma gliela passo perché la trovo quasi una specie di autoperformance su stesso: uno nato da modeste origini e tendente all'anarchia diventa il simbolo estremo dell'arte moneta e del mercato moderno.
E poi, cavolo, nessuno rompe mai le palle per Picasso o Dalì e il loro attaccamento al gain perché prendersela con Hirst? Almeno non fa delle fotocopie colorate...

Lazy Rebel ha detto...

E' sempre un piacere leggere i tuoi post. :)
Se ne sentiva davvero la mancanza! Bentornato!

odderflip ha detto...

mi accodo al benvenuto con il ritardo che il lavoro, la salute e il terremoto (in quest'ordine) stanno minando il mio tempo libero ultimamente_

MA! ha detto...

@A: Quando ci vuole, ci vuole.
@Officina: era fuori dalla Tate, tipo insegna per capire cosa c'era dentro. Solo che sembrava ci fosse un convegno di medici. Meglio se lo piazzavano nella Turbine Hall.
@Slum: esatto, però un sacco di robe se le poteva evitare. Tipo la copertina per i Red Hot che è uno sputtanamento immane. Belli i tempi in cui Serrano concedeva le sue fotografie per gli artwork dei Cattle Decapitation.
@Lazy: grazie!
@Odderflip: non ci avevo pensato al terremoto! Spero tutto bene.