Nel numero attualmente in edicola della sempre più interessante Studio trovate, tra le altre cose, un ottimo articolo sulla narrazione videoludica. L’autore, lo stesso Tim Small che aveva sviscerato la serie The Wire sulle scorse uscite, riflette su come questo medium (il videogioco) possa rappresentare la nuova soglia del raccontare storie. Dopo libri, cinema, televisione (esattamente n quest’ordine) pare sia arrivato il tempo del joypad (e fin qui ci arrivavamo tutti, in maniera insindacabile). A rafforzare questa tesi il giornalista cita lo studioso Tom Bissel, per la precisione nell’assunto secondo cui “ogni scrittore che non si interessa a quelli che oggi chiamiamo videogiochi finirà per essere solo uno spettatore di uno dei più importanti cambiamenti concettuali della narrazione nell’ultimo secolo”. L’articolo procede poi nella disamina su come mai, a oggi, non si sia ancora riusciti a raggiungere questa fusione definitiva tra la foga del gioco e la riflessione del racconto (da qui il meraviglioso titolo dell’articolo Premi cerchio per skippare il dialogo).
Premettendo che non una cultura abbastanza vasta in materia per poter dire la mia, mi domando comunque una cosa. Se la narrazione videoludica è un concetto così moderno (e lo è) il continuo fallimento della compenetrazione con il passato non deriva forse proprio dall’incongruenza tra i due elementi? Quando si è passati dal cinema ai grandi serial TV degli scorsi anni le modifiche da apportare al linguaggio sono state minime, per lo più strutturali e di gestione del tempo. Ma qui è, letteralmente, tutto un altro campo da gioco. Prendiamo gli articoli sportivi di Hunter S. Thompson. Parlavano di campionati e partite di football, eppure erano ricchi di narrazione. Tanto da diventare, spesso e volentieri, metafora della situazione politica statunitense. Senza dialoghi, plot, divisione in tre atti e tutti quegli elementi che per troppa gente sono ancora parti costitutive fondamentali di una storia.
E se, per poter parlare di narrazione videoludica, fosse proprio questo strappo a mancare ?
La costituzione di una nuova serie di elementi che permettano di raccontare non può più essere rimandata. Perché riesce a trascinarmi di più un platform (solitamente privi di storia, votati unicamente al dinamismo) con i suoi saliscendi di tensione che L.A. Noire con le sue tonnellate di dialoghi e le espressioni facciali perfette? Forse perché il primo è un videogico puro (che non deriva da nulla) e il secondo un tentativo di realizzare un lungometraggio interattivo (mantenendo così un piede nelle vecchie scarpe)? Perché ogni volta che un VG è particolarmente coinvolgente lo si deve paragonare per forza di cose a un film con le scene action giocabili?
Non sarà che il medium a oggi più venduto è troppo avanzato per il suo pubblico?