L’elaborazione del lutto rimarrà sempre uno dei temi più affascinanti e complessi da trattare attraverso la narrazione. Tra i numerosi esempi di opere tangenti a questo spunto Hesher rischia di rimanere nella memoria come uno dei casi più originali e sentiti. Mi spiace dover anticipare ampie porzioni della pellicola, ma è inevitabile per poterne analizzare i tratti principali.
Fulcro di tutta la vicenda è T.J., un ragazzino rimasto orfano di madre da un paio di mesi. La sua vita si consuma tra la scuola (dove viene vessato da un bullo), la casa della nonna malata (dove vive assieme al padre depresso) e lo sfasciacarrozze (dove giace la carcassa della macchina in cui è morta la madre). In poche parole, un disastro totale.
Con l’incontro di Hesher, un metallaro vagabondo dedito a bong e pornografia, le cose non fanno che peggiorare. Trasferitosi senza motivo a casa del ragazzino, spingerà il suo malessere al limite. Mettendolo nei guai con la legge, facendolo pestare da altri ragazzini, minacciandolo di morte. E qui le cose incominciano a farsi complicate.
Si prenda il rapporto che hanno i componenti della famiglia del protagonista con l’intruso: T.J. lo odia e non sono rare le esplosioni di rabbia inconsulta nei suoi confronti, il padre si comporta come se ci fosse sempre stato e come se fosse destinato a rimanere per sempre, la nonna ci va d’accordo. Anche Hesher pare trovarsi piuttosto bene con l’anziana signora, trattandola con rispetto e stringendo un’amicizia sincera.
E proprio alla sua nuova confidente lo scapestrato ospite racconta di come sia morto il suo serpente domestico. Messo alla berlina da un piccolo topo destinato a diventare il suo pranzo e reso nudo nella sua imbattibilità solo apparente. Una volta svelato l’inganno il predatore è destinato a morire di fame.
A questo punto la metafora si fa un po’ più chiara. Hesher non è la spalla che riuscirà a far superare a T.J. le sue paure. Hesher è la morte, il lutto, il serpente.
Siamo agli antipodi dello spiegone alla Il Sesto Senso, sia ben chiaro. Anzi, probabilmente questa è solo una delle diverse interpretazioni possibili. Anche se il personaggio di Natalie Portman sembra avvalorare questa tesi (una ragazza disperata e senza futuro, finisce per flirtare con Hesher dopo aver urlato ai quattro venti quanto la sua morte non sarebbe notata da nessuno).
Ben presto il giovane protagonista si rende conto che la sua vita non può essere condizionata per sempre da un fattone ributtante. L’unico modo per scacciare il molesto visitatore da casa propria è imparare a conviverci. Trovarci lati positivi. E ce lo spiega lui stesso al funerale della nonna (l’avevo detto che si trovava fin troppo bene in compagnia del suo nuovo amico…) in un epico monologo a base di testicoli persi, poco prima del catartico finale.
Il tutto incorniciato una messa in scena sommessa, sotto un cielo perennemente grigio da suburbia votata al non luogo. Rainn Wilson si conferma un attore di primissimo livello, straziante nel ruolo del padre depresso. Ed è merito suo se la scena chiave di tutta l’opera, quella che la chiude prima dell’inevitabile epilogo, risulta di una potenza devastante (un po’ come era stato per Super, che qualcuno ha avuto il coraggio di definire come conciliante e buonista).
Hesher è un film minuscolo, scritto benissimo e girato anche meglio. Ogni scelta facile è bandita senza mezze misure, facendolo risultare in più casi ostico e quasi sgradevole. Ma si sta pur sempre parlando di un dodicenne rimasto senza mamma, cosa vi aspettavate?
7 commenti:
mi aveva già conquistato la locandina.
non ho letto tutto perchè non voglio rovinarmi la sorpresa: "organo di madre" è notevole però :)
Visto tempo fa, bello , completamente diverso da quello che ti aspetti, sde era un film ad alto budget, il ragazzino diventava amico di escher, faceva il culo ai cattivi etc...invece...
@Adrien: corretto! Grazie mille per la segnalazione. il film recuperalo perché merita.
@Officina: stessa cosa per me. Molto meglio così comunque.
c'e' ancora qualcuno che non rimastica le solite formule trite e ritrite, ma si sa che ai piani alti di hollywood (e non solo)amano la tranquillità della stagnazione...
Non lo conoscevo, e la locandina è favolosa. Me lo procuro, grazie della dritta. :)
Diciamo che se spendi poco (come penso abbiamo fatto qui) qualche rischio in più te lo puoi prendere. Logico che se mi fai un film che costa come il PIL di una nazione allora a qualche compromesso devi scendere. Lunga vita agli zero budget, fucina di creatività selvaggia.
Tant per chiarire le cose. Un maestro come Seijun Suzuki si faceva passare apposta per regista di serie Z. I grandi studios investivano il minimo (sapendo che avrebbero recuperato nel giro di un paio di week-end) e lui, senza dire nulla, faceva quel cazzo che voleva. Finché è durata ha prodotto capolavori, poi se ne sono accorti e l'hanno tagliato fuori. Poco male, lui ormai era entrato nella leggenda.
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