martedì 22 gennaio 2008

Triangle di Tsui Hark, Ringo Lam e Johnnie To (2007)

Triangle è un meraviglioso esperimento, impossibile da valutare con gli strumenti con cui solitamente ci si approccia al linguaggio cinema. Tre registi (due maestri e un ottimo mestierante), tre spezzoni dello stesso lungometraggio girati in un’inedita forma di semi autonomia. In altre parole: parte il primo regista, sceneggia e gira il suo spezzone, lo consegna al secondo cineasta. Che, naturalmente, non ha idea di che cosa si troverà di fronte, che buchi di sceneggiatura dovrà affrontare e che matasse dovrà sbrogliare (o complicare ulteriormente, a svantaggio del terzo incomodo). Si consideri che tutto questo avviene nell’industria del cinema hong konghese, una volta simbolo assoluto di libertà espressiva, e che su tre registi coinvolti due sono anche produttori. Il risultato di tutto questo impasse è forse un capolavoro? Assolutamente no, ma la freschezza e la sconsideratezza che si respira ad ogni fotogramma sono boccate di ossigeno puro in un periodo dove i produttori si improvvisano sempre più spesso direttori artistici.


Il primo segmento (pesantemente mutilato dai distributori) è gestito dal Maestro Tsui Hark, peso massimo di semiotica cinematografica pura. La storia potrebbe non avere dialoghi, è la macchina da presa che narra. Le inquadrature (sbilenche, scentrate, quasi ottuse) dipingono i tre protagonisti, i loro passati e la loro umanità in modi che mai si erano visti prima. Questa attenzione al nuovo e alla ricerca dell’inedito non è, paradossalmente, una novità: si può tranquillamente pescare a caso nel carniere del regista e non si otterranno che capolavori slanciati in questa direzione. Dinamitardi, stupidi, criptici, commoventi. Da “We Are Going To Eat You” (1980) passando per “Once Upon A Time In China” (1991) fino a “Seven Sword” (2005) il linguaggio del cinema viene semplicemente smembrato dal Nostro, dando particolare attenzione alla componente action/marziale, da sempre favorita nello sperimentare virtuosismi e soluzioni inedite.

Disseminati dei gustosi buchi di sceneggiatura la palla passa a Ringo Lam, e pare di trovarsi improvvisamente negli ‘80s. Filtri colorati, teli svolazzanti, sfumini, pastiche di generi: tutto rimanda all’epoca dei domani migliori, delle città in fiamme e delle rose eterne, con l’aggiunta di una sana leggerezza tipica di chi sa maneggiare con sicurezza la materia. Naturalmente i buchi di sceneggiatura vengono volontariamente resi voragini, i nodi sono sempre più stretti e la vicenda si avvicina all’inevitabile cul de sac in cui tutti si aspettassero finisse.

Ed ecco intervenire il secondo mostro sacro dell’operazione: Johnnie To. Un uomo capace di rinnovare il concetto di autorialità (tutto quello che esce dalla sua casa di produzione sembra si incastri perfettamente, come se fosse opera di una persona sola), tracciando un continuum tematico che attraversa regie, produzioni e sceneggiature. Eccolo quindi capace di inserire anche in questo contesto il chiodo fisso che da sempre funge da perno su cui far ruotare le sceneggiature costruite con il fidato compare Wa Ka Fai (per amor vostro recuperate assolutamente il suo “Too Many Ways To Be No.1”): la presunta ineluttabilità del destino. Evitando di soffermarsi sulla maestria tecnica del Nostro (molto più chiara e diretta che i virtuosismi nascosti di Tsui Hark, si veda a esempio il noto piano sequenza iniziale di “Breaking News”, 2004, o i duelli supersonici di “The Bare-Footed Kid”, 1993), colpisce come il regista inizi il suo segmento partendo dal primo periodo Milkyway Image (la sua casa di produzione) e riesca a terminare in pieno clima post “Exhiled” (2006). Più chiaramente: se prima era il destino che puntualmente faceva crollare i castelli in aria dei protagonisti, facendoli attraversare peripezie tra il grottesco, il tragico e il faceto, all’interno del suddetto capolavoro (mai usata tanto questa parola in un solo articolo… ma ci si deve rendere conto di chi si sta parlando!) gli stessi personaggi si ribellano a questa regola non scritta, decidendo in totale indipendenza la propria sorte. In un balocco come “Triangle” l’atmosfera da mucchio selvaggio che si respira in “Exhiled” sarebbe assolutamente fuori luogo, ma l’ultima battuta del film dimostra comunque quanto i tempi siano cambiati.


Titoli di coda, non abbiamo cambiato il nostro film preferito ma si è comunque felici, soddisfatti e stimolati. Aggiungete che io me lo sono gustato in un cinema di Hong Kong accanto alla mia donna bellissima e calcolate quanto adori ogni singolo minuto di questo lungometraggio.

Titolo originale: Tie saam gok
Regia: Ringo Lam, Johnnie To, Tsui Hark
Sceneggiatura: Au Kin-yee, Sharon Chung, Kenny Kan, Half Leisure, Yau Nai-hoi, Yip Tin-shing
Fotografia: Cheng Siu-keung
Montaggio: David M. Richardson
Musiche: Guy Zerafa
Interpreti: Louis Koo, Simon Yam, Sun Hong-lei, Lam Ka-tung, Kelly Lin, Lam Suet
Produzione: Milkyway Image, Media Asia Films Ltd., Beijng Poly-bona Film Publishing Co.Ltd.
Nazione: Hong Kong/Cina
Anno: 2007
Durata: 101 min.
Caratteristiche tecniche: 35mm – Colore - Dolby Digital

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