Authority è, fuori da ogni dubbio, il fumetto supereroistico più importante degli ultimi dieci anni. Una squadra di sedicenti paladini mascherati che agisce nel mondo reale, con regole reali e fronteggiando la politica reale. Siamo lontani anni luce dell’introspezione psicologica su cui poggiava il capolavoro Watchmen: ora i vigilanti in costume non hanno più voglia di nascondersi dall’opinione pubblica a causa delle loro abilità, ma decidono di passare direttamente al (legittimo) estremo opposto. Esseri straordinari che trascorrono le loro giornate a difendere il pianeta non potevano continuare a vivere come topi ancora per molto, soprattutto in virtù di quello che avrebbero potuto avere.
E così, dall’arcinoto ciclo degli XMen ad opera di Grant Morrison in avanti, si auto elevano a livello di rockstar planetarie, guadagnandosi copertine di magazines patinati, inviti a talk show e, infine, il rispetto (o meglio, la sottomissione) da parte del G8 e dei governanti della Terra. Non più esseri eterei (o dotati di un iper virilità decisamente ambigua) che si esprimono come chierichetti, ma spavaldi padroni di se stessi che fanno sesso, si esprimono con un linguaggio da scaricatore di porto e che amano mettersi sotto i riflettori. Fra tutti gli esempi possibili il più riuscito, per intensità e libertà espressiva, è proprio la prima serie di Authority (ad opera dei due demiurghi del nuovo ordine fumettistico mondiale Warren Elllis e Mark Millar). E, all’interno di questo nuovo team, il personaggio più sottilmente rivoluzionario è il truce Midnighter. Il motivo è semplice: Midnighter è il primo personaggio gay dei comics statunitensi a cui nessuno frega nulla se è gay.
Midnighter non è il compagno svenevole dello statuario Apollo, non è la parodia camp di Batman, non è l’omosessuale stiloso e sensibile che tutti si aspetterebbero. Per il fandom Midnighter è una macchina assassina, il più letale uomo sulla Terra, il combattente dai due cuori, il più violento tra le fila della nuova autorità. In poche parole Midnighter è un vigilante a cui semplicemente non piace il genere femminile. Millar, Ellis, Brubaker, Ridley (per citare solamente gli sceneggiatori delle run più importanti della serie) non cadono mai nel tranello del finto progressista, quel giochetto che spinge a definire moderne e “avanti” subdoli esempi di classismo come l’innocua serie televisiva “Will & Grace”. Un cliché positivo come quello del gay colto, brillante e affermato è comunque un cliché, costruire intere vicende intorno alla sessualità di un carattere di finzione significa comunque etichettarlo come strano e diverso. In Authority invece nulla cambierebbe nel caso di un Midnighter eterosessuale, non ci sarebbe nessuna variazione nello svolgersi delle trame. Perfino nella serie “Authority: Rivoluzione” (ad opera di Ed Brubaker) il fatto scatenante è riconducibile a un generico legame affettivo, non a un legame affettivo tra due uomini. Se al posto di un Apollo venuto dal futuro ci fosse stata una Engineer (naturalmente legata al vigilante in questione) la storia non avrebbe avuto variazioni sensibili.
La normalizzazione (terribile usare ancora questo termine nel 2008) deve essere silenziosa, la diversità deve smettere di essere tale semplicemente considerandola quotidiana, non mettendola al centro dell’attenzione. Quel personaggio ha i capelli rossi, quello si veste strano, quello è gay. Cosa cambierebbe nel caso nel caso i capelli fossero blu piuttosto che rossi? Probabilmente nulla. E se si vestisse banalmente? Ancora nulla. Perché se invece un personaggio maschile ama un altro uomo si deve per forza costruire almeno una trama, anche a favore di questa sua tendenza, intorno alla sua natura? Perché due esseri dello stesso sesso che si amano è comunque qualcosa da evidenziare.
Nessuno intende svilire il prezioso patrimonio che ci differenzia uno dall’altro, leggere battute da spogliatoio maschile in chiave queer sputate senza ritegno dal nostro eroe è comunque una goduria. Giocare al videogioco “Marvel: la Grande Alleanza” assume un non so che di mistico quando si seleziona il personaggio di Luke Cage, passando così da poteri psichici e dichiarazioni altisonanti da bolsi paladini della giustizia a ben più gustosi cazzotti e baritonali “You lose motherfucker!” che sembrano provenire direttamente da un blaxpoitation d’annata. Ma qui l’accento è sforzato, un’ ironia rovesciata che si fa sottile, schernendo il cliché e passeggiando incautamente sulla lama del politicamente scorretto. Sfottere il "diverso" significa implicitamente non considerarlo più tale, non avere più paura di usare una di quelle parole considerate "da evitare" quando si è in presenza di determinate persone. Decisamente meglio di mille moine paternalistiche sui presunti lati positivi che si ritroverebbero in tutti gli appartenenti a una minoranza, degne eredi del mito del buon selvaggio.
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