Terzo episodio dell’oramai classica serie di tributi all’universo di Star Wars da parte dei geni dietro Robot Chicken. Chi non ne avesse mai vista una puntata si prepari a un esempio perfetto di “scrittura a cipolla”. Se prendiamo un episodio qualsiasi di un’ altrettanto generica stagione avremmo sempre a che fare con una superficie stupida, spesso tangente al piano della volgarità gratuita o del nonsense fine a se stesso. Da questo punto di vista le varie gag dovrebbero avere una potenza dirompente, basandosi su meccanismi ben comprensibili da chiunque e rodati in anni di commedie cinematografiche e televisive (pensiamo al continuo gioco al ribasso di Seth MacFarlane). Eppure non sono in molti a ridere delle action figure di Green e Senreich. Questo perché, scandagliando un livello appena più profondo, si scopre di avere a che fare con una scrittura asciutta e talmente sintetica da sfiorare il parossismo. Per quanto possa apparire stupido allo spettatore medio Robot Chicken non ha mai ceduto alla tentazione di imboccare il suo pubblico. Se vuoi capirne l’umorismo devi aver letto tonnellate di fumetti, visto centinaia di film e passato intere giornate davanti alla TV. Siamo di fronte alla classica serie sfigata per sfigati? Così sembrerebbe, anche se scendendo di ancora un livello si arriva a un'altra conclusione.
Cosa ha permesso al mondo nerd di diventare la macchina multimilionaria degli ultimi anni? L’innesto di realtà in un mondo di carta e inchiostro. In una maniera tutta nuova. Se Moore e Miller (e Mills, e Veitch,…) negli anni ’80 ci avevano convinto che maschere e mantelli nel mondo reale avrebbero fatto rima con depressione e malattia, i più recenti Millar ed Ennis (tra i tanti) ci hanno convinto del contrario. Da Authority al Tony Stark cinematografico, passando per tutta la macchina narrativa di Bendis, abbiamo a che fare con una masnada di smargiassi pieni di sé. Tutto è quantificabile (in migliaia di vittime), collegabile alla nostra esperienza del mondo (le Stark Enterprises che fanno concorrenza alla Nokia) e dolosamente attuale (superterroristi al posto di supercriminali, come visto anche in serie extra Ultimate tipo l’Iron Man di Fraction). I super eroi sono meglio di noi. Più intelligenti, più belli, più popolari. Nel mondo di Green e Senreich invece tutto funziona al contrario. Non prendono personaggi di fantasia per fargli vivere roboanti avventure nel nostro mondo, ma invertono il paradigma. Prendono situazioni reali (anzi, quotidiane) e le infilano sotto l’epidermide della narrazione di genere. Il risultato è dirompente. Gli eroi saranno in grado di salvare l’Universo prima della fine di ogni episodio (non di RC, comunque), ma si comportano da autentici imbecilli quando hanno a che fare con uno dei nostri problemi. Così eccoli trasformarsi in idioti meschini ed egoisti.
Questo terzo speciale di Star Wars non fa eccezione. Anche se si rimpiange il grezzume di cartone delle primissime puntate della serie principale, l’umorismo si è fatto più raffinato e sottile. A volte fa addirittura capolino una parvenza di costruzione narrativa coerente. Tutto senza mai perdere un grammo della sua carica rabbiosa. Nonostante tutti i proclami degli autori, e una conoscenza enciclopedica dell’universo di George Lucas, non si scorge il minimo segno di affetto verso i bersagli degli scherni. Sembrerebbe quasi una vendetta nerd, un atto terroristico per riprendersi anni gettati davanti a uno schermo o a un albo. Non è un caso che in questo episodio le gag più gustose siano affidate a tutta una serie di personaggi che nei film originali rimangono sullo sfondo: Gary lo Stormtrooper, Prune Face (geniale), il maestro Jedi dal pianeta Kamino,… e le citazioni si siano fatte più colte e meno legate all'universo da fumetteria. Che Green e Senreich siano (o vogliano farci credere di essere) diventati grandi?
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