lunedì 28 marzo 2011

Godersela finché si è in tempo: Kaboom di Gregg Araki (US/2010)



Sinceramente non so cosa pensare. Cult o presa in giro? Colpo di genio o errore di calcolo? Kaboom poteva essere enorme e invece si ferma sul baratro, come se qualcosa avesse bloccato fatalmente il meccanismo. Gregg Araki ci fa fare un salto indietro nel tempo e ci riporta all’inizio degli anni ’90. Siamo all’interno di un campus universitario fotografato come se si trattasse di una puntata di Beverly Hills 90210 sotto acido. Il nostro protagonista è un ragazzo sessualmente indeciso che convive con il superdotato Thor, eterosessuale convinto (?). Smith, il dubbioso, non perde occasione di confidarsi con la sua migliore amica: una lesbica studentessa d’arte (quanto fa Daria?). La partenza non poteva essere migliore. In Kaboom il sesso è genuinamente presente in ogni sua variante, senza isterismi, prurigini o voglia di scioccare. C’è sesso etero, sesso lesbico, sesso gay, sesso bi, sesso a due, sesso a tre, sesso a uno, sesso per divertimento, sesso per amore. E di sesso se ne parla a profusione, con toni che definire coloriti è un eufemismo. Da questo punto di vista la pellicola dimostra di essersi meritata a pieni voti la Queer Palm a Cannes. Siamo in una società immersa nel sesso 24 ore al giorno, eppure era tempo che non si vedeva una pellicola trattare l’argomento in maniera così esplicita, divertente e leggera. Per una volta il coito non ha nulla di deviante, non bisogna leggerci niente e non è neppure lo specchio di chissà quali traumi sopiti. Consumare significa godersela e stare bene, punto. E infatti non si avverte neppure per un attimo la tipica cappa di mefitica volgarità riconducibile a quella piaga moderna che risponde al nome di amoralità. Quella misteriosa proprietà per cui si è tacciati di ottusità/arretratezza quando si da del deficiente a un tizio che ama farsi cagare addosso. Il terrore di essere etichettati come bacchettoni/mormoni/retrogradi ha convinto le ultime generazioni di sceneggiatori a spingere per forza di cose sul morboso o maledetto. Raccontare di un atto sessuale semplicemente divertente è da considerarsi di una banalità intollerabile. Per fortuna Araki non sembra fare molto caso a questa regola non scritta e ci sbatte in faccia tutta la fregola sessuale di una classe di 19enni. Chiara e cristallina come un lago di montagna. Una volta entrati in questa prospettiva (con relativa pretesa di aver capito il film) il gioco si complica, con l’arrivo di feste a base di allucinogeni, sogni profetici e la comparsa sempre più frequente di uomini travestiti da animali. Spesso pare di avere a che fare con un Lynch cazzaro, incapace di rinunciare alle sue atmosfere dense e sospese nonostante l’ambientazione giovanilistica e una paletta colori psicotropa.


Passano i minuti e il mistero si infittisce. Compaiono superpoteri, strane sette, organizzazioni segrete e su tutto aleggia lo spettro di una devastante guerra nucleare. Dal visionario del Montana si passa a Richard Kelly, in un crescendo di ingredienti e ritmo che lascia sempre più spiazzati. La sceneggiatura a questo punto è confusa, indecisa se continuare la strada della commedia sessuale o puntare al thriller dai toni surreali. E intanto si va sempre più veloci. I minuti corrono senza pietà, ci si chiede come riuscirà il regista a trovare il capo della matassa. Via, via, via. Con l’acceleratore sempre più a tavoletta, fino a….


Kaboom!


…e TUTTO finisce qui. Lasciandoci spiazzati, irritati, desiderosi di sapere cosa stava succedendo. Curiosi di sapere cosa possa voler dire una conclusione simile. Ci si può spaccare il cervello quanto si vuole, magari ragionando sul fatto che i giovani gay nei film di Araki fanno sempre una brutta fine. Ma la sensazione che rimane è quella della parabola edonistica, perfetto contraltare ai vari Twilight. Se nel mondo di Bella ed Edward una bella trombata equivale alla morte, in Kaboom il tristo mietitore arriva in qualsiasi caso. Tanto vale ingannare l’attesa facendo qualcosa di piacevole.


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