Siamo sinceri, alla notizia di un nuovo disco dei Pig Destroyer un sacco di gente (sottoscritto compreso) si era già scritta in testa il classificone musicale di fine anno. Ancora prima di ascoltare una singola nota di Book Burner avevamo già deciso che questo meritava il podio. Incuranti del fatto che solo il mese scorso sono usciti due lavori eccellenti come i nuovi The Faceless e Between the Buried and Me mentre a novembre ci aspettano Converge, The Secret e Dragged into Sunlight. Dopotutto i Pig Destroyer sono quelli di Terrifyer, una delle migliori uscite grind moderno di sempre. E in più questa volta abbiamo Adam Jarvis (Misery Index) alla batteria. Impossibile sbagliare.
E invece succede che Book Burner è solo un ottimo disco. Mi spiace dirlo, ma di quel parossismo d’esecuzione che ha reso grande il genere ne troviamo veramente poco. Mi spiego meglio. Prima di tutto procuratevi World Extermination degli Insect Warfare e Amber Gray dei Gridlink (tanto per citare due lavori stratosferici che si pongono agli antipodi stilistici del genere, ovvero il culto manicheo del passato e l’iper-modernismo fine a se stesso). Adesso che li avete ben adagiati sul vostro hard-disk ascoltateli al massimo volume possibile. La prima impressione che avrete è quella di trovarvi al cospetto di due mostruosità dove il gusto del grottesco è motore primario. Troppo veloci, troppo furiosi, troppo rumorosi. Non un attimo di flessione, un cambio di andatura o una concessione all’ascoltatore. Pura aggressione. E così dovrebbe sempre essere il grindcore.
La stessa cosa succedeva con Terrifyer. Anche se i ritmi erano più rilassati (virgolette), il muro messo in piedi dalle assurde distorsioni della chitarra di Scott Hull era più che sufficiente a provocare crisi di claustrofobia. L’alchimia con il ferino drumming di Brian Harvey aveva contribuito a definire quella grassezza sghemba e pachidermica che rimane a oggi uno dei marchi di fabbrica di casa Pig Destroyer (vedi quella manata in faccia di Carrion Fairy). Sono sempre stato convinto che la ricetta magica per ottenere un grande disco grindcore sia quella di studiarlo nei minimi dettagli e poi fare di tutto per farlo apparire più rozzo e ignorante possibile. Book Burner invece è un lavoro dove i suoi cinque anni di gestazione si percepiscono tutti. Quasi fosse death metal. Genere pornografico per eccellenza in cui tutto deve essere “fuori”. Dove ogni minima cazzatina o soluzione arzigogolata deve arrivare in faccia all’ascoltatore come una rasoiata. Per capirci meglio mi permetto di proporvi una sagace (sic) metafora cinematografica. Nei film del coreano Kim Jee-woon (quello di A Bittersweet Life e I Saw the Devil) percepisci ogni singolo virtuosismo perché spesso e volentieri interi segmenti narrativi sono basati su quello. Godi come è giusto godere di tanta grazia e aspetti con ansia la nuova trovata di questo grandissimo cineasta. Se invece prendi i film dello Tsui Hark degli anni d’oro (fino a Time & Tide) la regia è talmente fuori dai binari che non ti rendi neppure conto di assistere a qualcosa di ancora più assurdamente ricercato. Semplicemente non hai tempo di stare a riflettere su quello che stai vedendo. Non ci capisci un cazzo ma sei felice come un bambino. Ecco, quello è grindcore.
Book Burner invece sono solo 32 minuti di grandiosa musica schiacciasassi tirata a lucido. Tutti i fan di certe sonorità lo adoreranno, ma la pelle d'oca e le pompate di adrenalina non fanno parte del pacchetto.
1 commento:
concordo appieno, il classico disco si figo, ma anche se ne poteva fare a meno...purtroppo il limite dai gruppi grind fino a 3 album ok si reggono poi se non aggiungono nulla di nuovo tanto vale lasciare perdere...
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