Circa 10/15 anni fa gli Earthtone9 erano il gruppo da adorare a ogni costo. Ritmiche claustrofobiche, melodie stranianti e la fantastica voce di Karl Middleton a elevare il tutto a livelli quasi sempre stellari. Erano talmente pompati da certa critica (Kerrang era praticamente la loro fanzina personale) da essere definiti a più riprese come i Pink Floyd del post-HC. Ora siamo nel 2012, dei Nostri si sono perse le tracce (anche se si parla di inevitabile reunion) mentre i Sunpocrisy sono fuori con Samaroid Dioramas. E un sacco di gente (me compreso, fino a una settimana fa) non si rende conto che l’impegnativo paragone iniziato negli anni ’90 oggi ha raggiunto un nuovo standard.
Facciamola breve. Difficilmente riprendendo gli ascolti degli ultimi 12 mesi riuscirete a trovare qualcosa di più sottilmente complesso dell’ultimo lavoro dei bresciani.
Per capire di cosa si stia parlando pensate a una serie di cartoline, dove la profondità è stata scomposta in una serie di livelli semitrasparenti. Per quanto ci si possa sforzare di asciugare la visione ogni sguardo sarà sempre e comunque il frutto di una serie di sovrapposizioni e di fusioni tra gli strati in cui è stato sezionato il paesaggio. Lo spazio appare sospeso tra due e tre dimensioni, trasformandosi in un dedalo di frammenti sospesi in un ambiente neutro. Immaginate che questi paesaggi non siano reali, ma si presentino a loro volta come il frutto di fusioni tra diverse fonti. A questo punto non possiamo neppure consolarci pensando al risultato finale come una sorta di complesso mosaico composto da semplici frammenti. Tutto è già piuttosto complesso alla partenza.
Eppure a un ascolto distratto Samaroid Dioramas è tutt’altro che ostile. Non c’è spazio per l’onanismo math così come per certa schizofrenia -core da quattro soldi. Per definire la sensazione più potente provata durante l’ascolto si dovrebbe parlare, come già accennato, di fusione. E non è una cosa da poco, viste e considerate le libertà che ogni strumento si prende lungo tutto il minutaggio del disco. Da presupposti tragicamente dispersivi si è arrivati a un risultato coeso come un cubo di granito. Se volessimo inquadrare i Nostri nell'odiosa definizione di post-HC questa compattezza sarebbe già indicativa della qualità assoluta del lavoro in questione. Mentre un sacco di band iper-blasonate nel corso degli anni si sono perse in composizioni sbrindellate e gratuite i Sunpocrisy sono riusciti a puntare più in alto percorrendo al contempo strade più accidentate (Samaroid Dioramas avrà certo difetti, ma è un piccolo prezzo da pagare per stringere tra le mani un lavoro privo di qualsiasi tipo di banalità o faciloneria). Basta questo per capire che stiamo parlando di una delle uscite dell'anno (e considerando che solo la settimana scorsa ho detto la stessa cosa di Agnus Dei dei The Secret mi viene da pensare che la scena musicale italiana non sia messa così male...). Smettetela quindi di chiedervi se il paragone con la band di Roger Waters sia esagerato o meno. Procuratevi questo disco e ascoltatevelo fino a sviscerarne ogni segreto.