Esistono due tipi di presunzione. Quella intellettuale, tipicamente artistoide e spocchiosa nei confronti di ciò che è popolare, e quella che vuole semplicemente raggiungere il risultato più clamoroso possibile nel proprio campo. Per stare all’interno del genere marziale troveremo l’esempio perfetto della prima accezione in Zhang Yimou e nei suoi wuxia (così incapaci perfino di elevare un genere basso a sega mentale da cineforum di terza categoria) e della seconda in questo Ong Bak 2. Tony Jaa esordisce infatti alla regia con la pretesa di consegnarci il film di arti marziali definitivo. Inutile dire che il risultato non si avvicina minimamente all’obbiettivo preposto, ma rimane comunque degno di riflessione.
Una delle principale critiche mosse al cinema di arti marziali thai era la mancanza di un immaginario coeso e potente. Se i vari Ong bak e Born to fight attiravano lo spettatore come lo potrebbero attrarre video di skate o parcour (svuotando la narrazione di significato filmico per mettere al centro il corpo e le sue prestazioni, cosa di per se pregevolissima e degna di tutta l’attenzione del mondo) con l’arrivo del fantasy/spaghetti western Tabunfire e degli outcast di Chocolate si è incominciato a sentire l’esigenza di un minimo di profondità e di coerenza nell'universo narrato. Tony Jaa risponde a questo in modo sorprendentemente positivo (la cosa migliore del film), creando una Thailandia antica, lercia e umida in ogni suo affranto. Un nuovo mondo prende vita davanti ai nostri occhi, tra sbuffi di vapore, polvere, fango e cascate di sangue. Una fotografia splendida rende i colori vividi e potenti, mentre scenografi e costumisti raggiungono risultati insperati nel dare un’identità a chi popola queste lande selvagge. E si parla di giganti, pirati, ninja, donne corvo, schiavisti, re, maestri di arti marziali,… Una serie infinita di personaggi vivi e palpitanti nel loro essere naif e bidimensionali. Non esiste angolo di Ong Bak 2 che non sia stipato all’inverosimile, regalandoci una visione nuova del fantasy.
Tralasciando di analizzare una trama che non ha neppure la pretesa di essere qualcosa di più di uno scheletro per continui scontri, passiamo alla regia. Siamo onesti, i vari Ching Siu-tung o Liu Chia Liang si confermano irraggiungibili, così come i picchi occasionali del vate di Jaa, Prachya Pinkaew. Quella che rimane è una regia volgare e rozza, che spesso raggiunge il suo scopo proprio in virtù di queste sue caratteristiche. Nessun dolly vorticoso o piano sequenza da record, ma una serie di panoramiche a schiaffo e di soggetti vicinissimi all’obbiettivo. Tale amore pornografico per l’aggressività del corpo viene esplicitato ulteriormente con il numero assurdo di stili e tecniche sfoggiati dal protagonista, arrivando addirittura a far debuttare una strano muay thai dell’ubriaco. Dai timidi combattimenti iniziali alla triturante mezz’ora finale Tony Jaa si riconferma atleta disumano, paragonabile a pochissimi attori viventi (a quando lo scontro Thai vs HK, con il Nostro che si mena con il giovane funambolo del kung fu Wu Jing?). Peccato per l’eccesso di rallenty, a volte suggestivo ma troppo spesso ridondante.
Il buon Tony non riesce a elevare il genere a nuove vette, ma la visone di Ong Bak2 rimane comunque un esperienza appagante e significativa di dove sta andando il miglior cinema action del mondo.
Una delle principale critiche mosse al cinema di arti marziali thai era la mancanza di un immaginario coeso e potente. Se i vari Ong bak e Born to fight attiravano lo spettatore come lo potrebbero attrarre video di skate o parcour (svuotando la narrazione di significato filmico per mettere al centro il corpo e le sue prestazioni, cosa di per se pregevolissima e degna di tutta l’attenzione del mondo) con l’arrivo del fantasy/spaghetti western Tabunfire e degli outcast di Chocolate si è incominciato a sentire l’esigenza di un minimo di profondità e di coerenza nell'universo narrato. Tony Jaa risponde a questo in modo sorprendentemente positivo (la cosa migliore del film), creando una Thailandia antica, lercia e umida in ogni suo affranto. Un nuovo mondo prende vita davanti ai nostri occhi, tra sbuffi di vapore, polvere, fango e cascate di sangue. Una fotografia splendida rende i colori vividi e potenti, mentre scenografi e costumisti raggiungono risultati insperati nel dare un’identità a chi popola queste lande selvagge. E si parla di giganti, pirati, ninja, donne corvo, schiavisti, re, maestri di arti marziali,… Una serie infinita di personaggi vivi e palpitanti nel loro essere naif e bidimensionali. Non esiste angolo di Ong Bak 2 che non sia stipato all’inverosimile, regalandoci una visione nuova del fantasy.
Tralasciando di analizzare una trama che non ha neppure la pretesa di essere qualcosa di più di uno scheletro per continui scontri, passiamo alla regia. Siamo onesti, i vari Ching Siu-tung o Liu Chia Liang si confermano irraggiungibili, così come i picchi occasionali del vate di Jaa, Prachya Pinkaew. Quella che rimane è una regia volgare e rozza, che spesso raggiunge il suo scopo proprio in virtù di queste sue caratteristiche. Nessun dolly vorticoso o piano sequenza da record, ma una serie di panoramiche a schiaffo e di soggetti vicinissimi all’obbiettivo. Tale amore pornografico per l’aggressività del corpo viene esplicitato ulteriormente con il numero assurdo di stili e tecniche sfoggiati dal protagonista, arrivando addirittura a far debuttare una strano muay thai dell’ubriaco. Dai timidi combattimenti iniziali alla triturante mezz’ora finale Tony Jaa si riconferma atleta disumano, paragonabile a pochissimi attori viventi (a quando lo scontro Thai vs HK, con il Nostro che si mena con il giovane funambolo del kung fu Wu Jing?). Peccato per l’eccesso di rallenty, a volte suggestivo ma troppo spesso ridondante.
Il buon Tony non riesce a elevare il genere a nuove vette, ma la visone di Ong Bak2 rimane comunque un esperienza appagante e significativa di dove sta andando il miglior cinema action del mondo.
8 commenti:
una curiosità: ma che significato ha l'elefante per Tony Jaa? dei suoi film ho visto solo (mea culpa) spettacolari estratti di scene di combattimento spacca-ossa, e vedo che questo animale ritorna spesso. illuminami/ci.
Tutto parte dal fatto che il cinema tailandese non ha senso fuori dai suoi confini. E' un cinema che produce lavori a catena di montaggio, ma pochissimi escono dai confini nazionali in quanto troppo impregnati di cultura autoctona per poter essere accessibili a chi non è thai. C'è un intero filone sull'illuminazione religiosa, un filone sui transgender, senza contare l'horror che si basa interamente sul folklore locale. Da qui il bisogno di Jaa di inserire in ogni film l'elefante (anche nel ruffianissimo The Protector, che praticamente è studiato per i mercati occidentali), tradizionale simbolo della nazione tailandese. Insomma, dopo tanto lamentarsi di cinema derivazionista e di imperialismo statunitense ecco una nazione che ci mette di fronte al problema opposto. Se spulci nel mio blog dovresti trovare anche uno speciale cinema thai, lì ci trovi qualche spiegazione ulteriore.
Come al solito, trailer fichissimo.
Tra l'altro, di recente mi sono imbattuto in questo:
http://www.youtube.com/watch?v=a_BzNsDvpRY
del quale, per coerenza di ignoranza, non ho neanche indagato il nome del regista o degli attori.
Grande Giangi. E' il nuovo film del regista di Casshern, che mi pare uscito anche in Italia. Casshern non era male, un bel melodrammone fantascientifico girato tutto in digitale. Alcuni passaggi da dimenticare, altri da urlo di gioia (vedi la strafamosa lotta con i robot malvagi). Comunque da recuperare.
Casshern? Cioè Kyashan?
Ma certo che l'ho visto! E mi era piaciuta molto anche la colonna sonora.
Bene, allora: mettiamo anche questo in lista (tanto...)
PS: La parola di verifica questa volta è "undepic"... Sarà una provvidenziale crasi?
Mi spieghi il finale?
Ciao, splendido blog, continua fonte di film da guardare
Dopo aver vendicato i genitori rimane comunque fottuto. Il cattivone dice di fargli un culo tanto, poi cerca di passare per quello buono dicendo che la sua morte (lenta) lo libererà dai suoi demoni.
Grazie per i complimenti. ;-)
Allora non sono così tardo!
Ma così lenta da farli crescere la barba...
Ciao
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