domenica 3 marzo 2013

Dance Dance Revolution o morte!: The FP di Jason & Brandon Trost





The FP appartiene in pieno a quella particolare categoria di film di cui non riesci a formulare un giudizio ben definito. Perché se l’idea di fondo e gran parte dello svolgimento sono ben più che gradevoli, rimane qualcosa che non ti soddisfa fino in fondo. La scelta di basare tutti i meccanismi comici della pellicola proprio sulla sua mancanza di umorismo è una scelta coraggiosa, ma spesso paga uno strisciante senso di incompiutezza. Come se da un momento all’altro ci si aspettasse la svolta grottesca, che invece non arriva mai. L’integrità "ideologica" con cui i fratelli Trost portano avanti il loro progetto ha finito per danneggiarli. Per capire meglio cosa voglio dire basta sintetizzare per punti la trama:

- Nella piccola cittadina rurale di Frazier Park (nessun riferimento al post-atomico come riporta imdb, in realtà pare solo un acrocchio di baracche in puro stile white trash sui monti Appalachi) due band rivali si contendo il territorio a suon di partite a uno di quei dance-game che riempivano le sale giochi fino a dieci anni fa.
- Durante la finale il rappresentante dei ”buoni” ci lascia le penne. Per via dell’eccessivo livello di sfida danzereccia a cui si è arrivati, non certo per un proiettile vagante.
- Suo fratello minore – promessa dorata del cosidetto beat-beat – assiste impotente. Giura di non prendere più parte a nessuna sfida a base di pedane luminose. Inquadratura dall’alto e urlo liberatorio.
- Un anno dopo lo ritroviamo a lavorare come taglialegna.
- I suoi amici lo ricontattano. Gli spiegano che da quando se n'è andato la banda rivale ha cominciato a spadroneggiare. Sono talmente cattivi che ora Frazier Park è un paese senza anatre (giuro che ci arrivano seguendo un ragionamento logico. Non è una semplice battuta surreale).
- Per curiosità e/o sfinimento il protagonista decide di tornare in città, ma ci crede ancora poco.
- Viene umiliato e incomincia a crederci un po’ di più
- La ragazza di cui è sempre stato innamorato è la pupa del boss rivale. Che naturalmente la tratta malissimo perché ha messo il padre di Lei in una situazione tale da incastrarla.
- Il nostro eroe si carica del tutto.
- Salta fuori un presunto maestro di beat-beat.
- Allenamento.
- Sfida finale.
- Vittoria dei buoni.
- Colpo di coda del cattivo che non vuole accettare la sconfitta.
- Vittoria dei buoni.
- Frasi da macho dette a mezza voce con i compagni di banda.
- Bacio (…vedrete) con la bella, finalmente libera dal giogo del cattivone.

Direi che se vi lamentante di come vi abbia anticipato il finale probabilmente non avete mai visto un film giovanilista di taglio sportivo prodotto tra il 1980 e il 1989. La cosa interessante è che tutti questi luoghi comuni vengono portati avanti in maniera assolutamente seria. La gag chiaramente comiche si contano sulle dita di una mano. Per fare un parallelo cinematografico siamo dalle parti di Kalamari Wrestler di Minoru Kawasaki, uno dei massimi esponenti dell’anti-umorismo moderno. Immaginatevi un rifacimento di Rocky con un enorme calamaro antropomorfo come protagonista. Senza che questa peculiare variazione vada a cambiare tono e impostazione della pellicola. 

Tornando a The FP la scelta più comoda sarebbe stata quella di allinearsi a un tipico stile di umorismo statunitense. Quel surrealismo da idiota sapiente alla Will Ferrell che troviamo ben distribuito in un sacco di lavori della Apatow family, oltre che in un buon numero di prodotti interpretati da comici usciti dal SNL. Penso prima di tutto ai The Lonely Island. Qui il trucco sarebbe stato tutto nel chiudere ogni sequenza con una gag esplicitamente messa lì a ricordare che tutta l’operazione è una farsa, a riequilibrare l'andamento comico dell'insieme. Peccato che il nostro film sia stato prodotto dai ragazzi della Drafthouse Films, non esattamente noti per le loro scelte facili. Vedi Kim Ki Duk distribuito nello stesso circuito di Miami Connection. Quindi pochissime vie di fuga: avanti dritti per l'idea iniziale. Poco importa se lo capiranno in quattro.

Come già detto il risultato è altalenante. O vi fa sorridere il fatto che qualcuno abbia scritto e diretto un film su Dance Dance Revolution o vi annoierete a morte. Personalmente me la sono goduta. L’idiozia di tutto il progetto è un blocco di granito così inscalfibile che ogni aspetto della direzione creativa ne è stato influenzato. L’idea di utilizzare come colonna sonora una sorta di pastone tra synth-pop anni ’80 e la peggio dance anni ’90 (quella da Acquafan) potrebbe essere visto come un suicidio artistico. In realtà tutto quello a cui stiamo assistendo è così stupido da meritarsi un simile commento sonoro. Chiudono il cerchio una regia non certo funambolica, budget inesistente e delle grandi – davvero – interpretazioni.

1 commento:

Officina Infernale ha detto...

...la locandina spacca...