domenica 18 settembre 2011

Una volta teaser e reclame facevano anche ridere







Visto che, causa trasferta lavorativa, non ci si legge fino a settimana prossima vi lascio con due cosine di cattivo gusto. Tanto per fare il simpatico. La prima è il sublime spot qui sopra, la seconda è una paginetta (tratta dalle sconvolgenti origini di Tom Wolfe) della mia fanzina. In uscita appena trovo una fotocopiatrice incustodita. Enjoy!


Piccola correzione: visto che Blogspot non mi lascia caricare le immagini come dico io la preview salta a data da definirsi. Grazie Internet, sempre più utile.




venerdì 16 settembre 2011

[Bostonian Hunger] All Pigs Must Die - God is War (southern Lord/2011)



Mi scuso per la latitanza ma sono super preso con il lavoro. Settimana prossima poi sarò in trasferta fino a venerdì. Interrompo il silenzio forzato solo per parlare di uno dei dischi più importanti dell'anno.


God is War è la perfetta rappresentazione della scena estrema odierna. Non si sta parlando di un disco fondamentale , ma dello strumento più rapido e soddisfacente per potersi aggiornare in una trentina di minuti su quanto possa offrire oggi come oggi il mondo del metallo più intransigente. Gli All Pigs Must Die suonano un HC feroce e slabbrato, arricchito da tutta una serie di influenze che non fanno che caricarlo di attitudine ultranegativa. E allora vai con lo stacco grind, il riff black metal e il ricamo post-core. Immancabile la traccia sludge e svariati rallentamenti distribuiti con gusto per tutta la durate del disco. Suoni abrasivi e bestiali del solito Kurt Ballou, vate di tutta questa nuova rincorsa alle radici del genere. Copertina di Florian Bertmer e pubblicazione a carico della rinata Southern Lord. Ed è proprio all’etichetta fondata da Greg Anderson e Stephen O’Malley (ndr: uno dei miei grafici preferiti di sempre) che ci si deve riferire per poter capire al meglio questa ondata di suoni catramosi e vocals al vetriolo. Dopo anni di militanza in campo sludge e doom ora il rooster della label di Los Angeles può vantare un buon numero di band totalmente basate sull’impatto il più rovinoso possibile: dal black’n’roll dei Craft passando per il d-beat di Acephalix e il darkHC (se si può chiamare così) di Alpinist e The Secret. Poi tonnellate di death old-school, crust e tutta quella varietà di generi che fanno dell’ermetismo e della totale mancanza di appeal commerciale il loro personale moto di orgoglio (e infatti tutti ne parlano, compresa affannosa rincorsa al carro dei vincitori da parte di tutte le altre etichette). Saranno i tempi bui che stiamo vivendo, ma dopo l’esplosione commerciale del deathcore di un paio di anni or sono ci stiamo spingendo ancora più in la nell’accettazione mainstream di produzioni che fino a poco tempo fa sarebbero state rilegate all’ultranicchia (naturalmente mi riferisco a paesi dove abbia un senso parlare di trend musicali, non certo l’immobile Italia. Tanto per farvi capire di cosa si parla sappiate che i putridissimi Craft in Svezia sono finiti in top10). Considerazioni sociologiche a parte è un gran bel sentire, una sorprendente boccata d’aria viziata e mefitica. Con l’immagine tutta relegata al solito teatrino di pentacoli, teschi e scritte in gotico ci si può concentrare su di una proposta musicale basata sull’idea del riff come motore principe di tutta la macchina da guerra/canzone. E allora eccoci messi di fronte a costruzioni chitarristiche tanto elementari quanto monolitiche, potenziate da batterie secchissime e da urlatori al limite del barbarico. Il paradosso sta nel fatto che, per quanto ostile e bellicosa, è musica di consumo immediato, diretta e sincera come un pugno in pieno volto. Infilo il disco nel lettore e in tempo zero sono travolto da una gragnola di power chord dalla potenza di un fucile caricato a pallettoni. Tutto lì. Non c’è stratificazione o richiami ad altro. Solo pura e semplice malvagità, nella sua variante più ignorante. Finalmente.



domenica 11 settembre 2011

Botte indoor: The Raid di Gareth Evans (Indonesia/2011)



Di The Raid ne avevo già parlato qui. Il trailer pare mantenere tutte le speranze che ci avevo riposto. Dai quasi due minuti qui sopra si percepisce una bella atmosfera claustrofobica (ricordo che tutto il film è ambientato in un singolo palazzo), violenta e cruda quanto dovrebbe essere sempre richiesto a un action. Grazie a Dio nessuna traccia di ironia. Detto questo non chiedetemi come ha fatto Mike Shinoda dei Linking Park a finire per curare la colonna sonora di un film indonesiano.

mercoledì 7 settembre 2011

E già che ci siamo... 55DSL intervista Passenger Press



I ragazzi della 55DSL, in occasione dell'arrivo nei negozi della prima delle tshirt che abbiamo realizzato per il brand, ci hanno intervistato sul loro blog supercool. Trovate tutto qui. E se passate in un punto vendita dal gagliardetto rosso/blu richiedete il catalogo della nuova stagione. Dentro ci trovate un'altra intervista e, attenzione attenzione, una bella foto della ex camera da letto di Christian (giuro!).

martedì 6 settembre 2011

Passenger Fashion Night Out



Anche se è dalla scorsa Lucca che non è parlo più questo non significa che per la Passenger Press non sia stato un anno molto impegnativo. Ci sono in ballo un sacco di progetti interessanti, piccoli mattoncini di un disegno molto più ampio. All'insegna del Don't Believe the Hype eviteremo ogni forma di teaser, slogan e annuncio di aver trovato la soluzione a tutti i mali del mondo. Diciamo che stiamo incominciando a raccogliere il frutto dei semini piantati in questi ultimi anni. Speriamo che il raccolto sia grasso, ma ci vorrà ancora tempo per poterlo dire.


Per adesso incomincio a invitarvi alla Vogue Fashion Night Out (giovedì 8 settembre), presso il megastore Diesel di Piazza San Babila (Milano). Per l'occasione Diesel ha deciso di chiedere la collaborazione della Passenger Press per organizzare il lancio della nuova fragranza Loverodose. Il programma della serata è gustoso (vi metto il link alla pagina ufficiale appena me lo girano) e la presenza di Ashley Smith dovrebbe comunque valere da sola lo sbattimento.


La settimana prossima si replica a Roma (ma io non sarò presente, cercate di accontentarvi di Ashley e Christian).

lunedì 5 settembre 2011

Forse era meglio dire di no: The Yellow Sea di Hong-jin Na (Kr/2010)



Nella ratificata mitologia del noir l’errore e/o la scelta irreversibile dalle conseguenze catastrofiche hanno sempre occupato un posto di riguardo. Fin dai neri cinematografici degli anni '40 il motore primo di tensioni o angosce rimaneva il rimorso di non essersi fermati qualche centimetro prima dell’orlo del burrone. Questo senza contare i numerosi esempi letterari, dal capolavoro Il Campo di Cipolle di Wambaugh fino a perle come Corri Uomo Corri di Himes Chester, Pomona Queen di Nunn Kem (di cui voglio ricordare il geniale estratto in quarta di copertina “A quel punto della vita, Dean aveva già visto un certo numero di morti. Però per la maggior parte assomigliavano ben poco a quello che il biker si teneva in salotto. Quello era nudo e pallido, disteso su un letto di ghiaccio in un grosso congelatore rosso della Coca-Cola, con la scritta in bianco su di un lato: Le cose vanno meglio con la Coca”) o il seminale Gli Amici di Eddie Coyle scritto da George “Ho-inventato-i-dialoghi-moderni” Higgins.


The Yellow Sea si inserisce in pieno in questa tradizione, ma nel classico stile sud coreano fatto di fatalismo e redenzioni mancate. L’opera seconda di Hong-jin Na, già regista dell’ancora più bello The Chaser, si prende tutto il tempo del mondo per gettarci nel pieno della vicenda. La storia parte dalla triste vita di Gu-Nam, taxista nella regione di Yanji. Un simpatico accrocchio di palazzoni fatiscenti situato tra Corea del Nord, Cina e Russia. Indebitato e lontano dalla moglie decide di fare il passo più lungo della gamba. Accetta un lavoro come assassino in Corea del Sud, con la garanzia di ogni avere ogni debito saldato e di potersi finalmente ricongiungere con la dolce metà.


Naturalmente tutto va per il peggio e il Nostro si ritrova a lottare per la sopravvivenza. Fino al nerissimo e amaro finale.


Nonostante si tratti di un lavoro dalla natura elefantiaca (quasi 3 ore di film con moltissime location e personaggi) e dai frangenti estremamente violenti, quello che contraddistingue The Yellow Sea è la sua natura sommessa e, paradossalmente, minimale. Una sola scena dal taglio smaccatamente spettacolare, nessuna scena madre o climax testosteronici. Solo un uomo in fuga, fuori posto e lontano da ogni suo affetto, sommerso da fiumi di sangue versati in brutali scene di combattimento. Prive di ogni carisma coreografico o patinatura arty. Se quello che cercate è tutto questo allora Hong-jin Na ha diretto il vostro prossimo film preferito. Nessuno spiraglio di speranza, colpo di luce o via di fuga. Pare di essere dalle parti di un Soi Cheung dalla mano maggiormente controllata, meno preso a dipingere un mondo putrescente e più interessato alla sguardo vuoto e vacuo di chi si è appena reso conto di essere con le spalle al muro. Siamo agli antipodi della rassicurante ultraviolenza di un The Man From Nowhere (per quanto questo sia un altro splendido esempio di noir coreano), con i suoi personaggi caricaturali e dal taglio fumettoso. L’unico difetto riscontrabile è proprio figlio di questa scelta coraggiosa di mantenere per forza un basso profilo. La totale assenza di colpi di reni per 150 minuti di film trasmette benissimo rassegnazione e mancanza di prospettive, ma potrebbe rendere il tutto sinistramente piatto e privo di appeal per chiunque non riesca a entrare completamente nello spirito della storia.


Ma è un peccatuccio veniale, per di più funzionale alle meccaniche di scrittura. Poca roba rispetto al mare di nero a cui si va incontro schiacciando il tasto play.


sabato 3 settembre 2011

Periferie complicate




Ecco il tipico caso di singolo significante con due significati. Live... Suburbia, edito dalla powerHouse Books, non è altro che una raccolta fotografica a basa di teenager dalla periferia statunitense. Gruppi di skater, metalhead con il mullet, bbq e tutte quelle cose lì. Per il pubblico americano penso si tratti di un amarcord denso di riferimenti alla vita reale di ogni lettore.  A noi europei invece pare una raccolta di foto dal set di tutti quei teen movie a base di casette identiche con cui siamo cresciuti. A complicare ulteriormente le cose ci hanno pensato anche gli autori Anthony Pappalardo e Max Morton, dando al libro un titolo che pare quello di uno show a tema.


Un bel casino, dove è impossibile tracciare una linea di demarcazione tra realtà influenzata dalla finzione e finzione inspirata alla realtà. Soprattutto considerando tutti i punti di vista da cui si può osservare il palcoscenico.

venerdì 2 settembre 2011

Super Senior e le arance dell'infinito







Le vendite di supereroi US stanno cadendo a picco? Non penso succederebbe lo stesso se tra gli albi regolari ce ne fosse almeno uno dedicato al super pensionato di Andreas Englund. Nella seconda immagine dall'alto troviamo un teaser per il prossimo mega-evento stagionale.


Perché quell'aria tanto corrucciata nello sbucciare un'arancia? La soluzione dell'enigma potrebbe rivoluzionare per sempre l'universo di Super Senior!